Tra poco più di un mese ricomincerà la scuola. È ormai comunemente un luogo dove l’esercizio delle capacità critiche è prevalentemente inibito. Certo, nella nostra scuola non si ripetono ossessivamente a memoria versetti o precetti, ma in ogni caso, come ho già scritto in precedenza è un luogo dove le capacità critiche degli allievi sono scoraggiate e gli stimoli del pensiero creativo, laterale e divergente sono per lo più sottomessi all’apprendimento di pure nozioni. I lockdown hanno dato il colpo di grazia, riportando la scuola a una condizione di disciplina forzata che l’ha trascinata indietro di oltre cinquant’anni : lo stare fermi in un banco, per di più con la mascherina, per molte ore, ha sminuito la partecipazione a attività di gruppo, ha incentivato la passività. Inoltre ha appiattito l’insegnamento che, nello sforzo di operare inclusioni spesso impossibili, ha via via sempre più negato il valore del merito e ha promosso, suo malgrado, un declino, scaturito anche dalla volontà di realizzare una scuola egualitaria, nonché dall’evidente distacco dell’apprendimento dalla realtà dell’ambiente esterno e soprattutto della natura, e attribuibile inoltre all’esecuzione di compiti noiosi e ripetitivi.
Mi preoccupa fortemente l’insorgere nella scuola e il diffondersi di una nuova malattia infantile (le altre furono cancellate dai vaccini) segnata dalla mancanza di attenzione, da vivacità quasi incontrollabile presente in alcuni allievi, notevole impulsività: è la malattia che oggi si definisce disturbo da deficit di attenzione e iperattività. È evidente a insegnanti e familiari che il numero di questi bambini aumenta esponenzialmente. L’allievo presenta sintomi che vanno da negligenza, disattenzione, difficoltà di ascolto, opposizione alle attività scolastiche, difficoltà di autorganizzazione, riluttanza alla sforzo mentale, facilità di distrazione, ma anche difficoltà a stare seduto, inquietudine fisica più o meno accentuata, incapacità di fermarsi su un gioco, fino all’ eccessivo uso della parola.
La preoccupazione che qui esprimo riguarda la tendenza alla medicalizzazione di questi disturbi. Già negli USA ci sono oltre due milioni di bambini diagnosticati sotto l’etichetta ADHD (Attention Deficit and Hyperactivity Disorder) i quali vengono abbondantemente bombardati con farmaci; in Germania si consumano 13,5 milioni di dosi giornalieri di Ritalin. Si tratta di un farmaco che in Italia era stato ritirato ma ora, sdoganato, so per certo che viene prescritto in alcuni casi diagnosticati nel modo indicato; è una anfetamina sintetica il cui principio attivo è il metilfenidato. È pericolosissimo, crea dipendenza e nel tempo occorre aumentare sempre di più le dosi. Ma altri farmaci simili, altrettanto pericolosi, bussano alle porte dell’infanzia e dell’adolescenza: l’industria farmaceutica ha forti interessi economici e trae tutto il vantaggio a creare fasce di consumatori tra i più fragili. Occorre dubitare, stare all’erta, avere un atteggiamento critico verso le terapie farmacologiche prescritte ai più giovani, siano esse stimolanti o antidepressive; bisogna temerne gli effetti sul sistema nervoso centrale e periferico, e quelli tossici. Sono farmaci che con nomi storici (come quello citato) o con nomi e facce nuove tentano o ritentano la scalata di bambini e adolescenti, ma i cui principi devono allertare la nostra attenzione di adulti, genitori, insegnanti, esperti, affinché non prenda piede, sulla scia di altri paesi, l’avanzare di terapie che potrebbero, sì, facilitare nel mondo scolastico l’assoggettamento degli allievi difficili, ma che sono in grado di rovinare le creature in crescita.