«Ci sono più cose in terra e in cielo, Orazio, di quante ne possa sognare la tua filosofia», dice Amleto ai suoi amici: come per Amleto spiegare razionalmente l’incontro con il fantasma del padre può essere difficile, lo è per l’uomo conoscere le leggi della natura e della realtà, e forse non può essere supportata pienamente dalla ragione la conoscenza dell’universo.
Tanto meno quella della Luna.
Il cielo stellato ci incanta, ci tiene con il naso all’insù, scatena le emozioni e spalanca le porte al romanticismo. Bene lo sanno i poeti.
Sono trascorsi 53 anni da quando abbiamo assistito in televisione all’allunaggio e se allora guardammo verso l’astro luminoso interrogandolo con amore, sono seguiti decenni di dubbi e disillusioni. Una domanda avrei voluto poter rivolgere agli astronauti, eroi dello sbarco sulla Luna, al loro ritorno sulla terra: avete visto le stelle? Com’erano le stelle, osservate dalla Luna?
Anni dopo vidi l’intervista ai tre astronauti che si erano presentati in pubblico di fronte ai rappresentanti della stampa di tutto il mondo, il 16 settembre ’69 : non avevano né un atteggiamento trionfale né lo sguardo fiero, ma piuttosto l’aria di cani bastonati, una profonda tristezza emanava dai loro occhi. Un giornalista rivolse loro la stessa domanda che avrei voluto porre anch’io. E qui ebbi la prima delusione: gli astronauti vagavano con lo sguardo, messi ko dalla domanda , cui era evidente che non sapevano rispondere. Sembravano dei babbioni. Poi cercarono di mascherare l’impreparazione e di rispondere, cercandosi uno con l’altro con lo sguardo, sebbene con evidente incertezza, omettendo di grattarsi la zucca come Stanlio, ma con identico atteggiamento. Stelle? Quali stelle? Dissero che dalla Luna non si vedevano stelle. Nessuno aveva visto neppure una stella.
Nella stessa intervista alla domanda di un giornalista riguardante il significato del primo allunaggio su un corpo celeste, nessuno dei tre astronauti risponde; cala un lungo lungo lungo silenzio imbarazzante, nessuno dei tre guarda né l’interlocutore né il pubblico.Fu allora, quando guardai quel video, che mi fu chiaro, leggendo nel complesso il linguaggio del corpo di Armstrong, Aldrin e Collins, che tutto era stato una menzogna, e che ciascuno di loro se ne vergognava profondamente.Dopo solo un anno dall’impresa epocale i tre eroi cui tutto il mondo volgeva lo sguardo, diedero le dimissioni.
Mi aveva anche molto colpita un servizio del giornalista investigativo Bart Winfield Sibrel (il documentario si intitola «Astronauts gone wild») che aveva , in anni successivi, tallonato i tre astronauti, ormai ritiratisi a vita privata, per chiedere loro di giurare sulla Bibbia di essere veramente stati sulla Luna (lo spergiuro è in America reato punibile con il carcere). Tutti e tre fuggono infastiditi e rifiutano; uno dei tre molla un cazzotto al fastidiosissimo Sibrel.
Ma torniamo un po’ indietro.
Una campagna di informazione e di vera e propria propaganda avevano anticipato da mesi – ma che dico, da anni – l’evento cui gli uomini di tutta la Terra stavano in quel momento assistendo. Per gli Stati Uniti era la notte fra il 20 e il 21 luglio 1969: h. 16,17 per gli Usa l’allunaggio, per l’Italia h.22,17; h.22,56 quando Armstrong posò il piede sulla Luna, in Italia h.4,56.
Ricordo l’emozione.
L’evento era stato preceduto da un’infinità di trasmissioni televisive, interviste, previsioni, dichiarazioni, ma anche da invenzioni di storie e fumetti, per adulti e bambini: soprattutto i ragazzi, più di noi ragazze (una Cristoforetti era ancora molto lontana) , si interessavano ai disegni tecnici, agli album che li incantavano con le descrizioni di razzi, motori, particolari e dettagli su materiali di costruzione, di tute spaziali, guanti, caschi… Sebbene probabilmente in misura assai più ridotta in Italia che negli Stai Uniti, l’aspettativa era comunque molto alta e una profonda, tenace, e indiscutibile fiducia che la conquista della Luna da parte dell’uomo potesse avvenire, pervadeva in modo generalizzato praticamente tutti: si era vissuta la fase del pieno boom economico e, malgrado alcuni segni di crisi, la fiducia nelle capacità dell’uomo e nel futuro erano proporzionali alle conquiste economiche attuate, come lo erano verso la vita politica e la reale possibilità di sviluppo democratico delle nazioni.
La “colpa” iniziale di tutto andrebbe attribuita a Kennedy (per cui a quel tempo personalmente stravedevo, avendo per lui una vera cotta infantile, in cui però comprendevo anche sua moglie): fu lui a lanciare la prima pietra quando nel 1961 annunciò al mondo che gli Stati Uniti sarebbero riusciti sbarcare sulla Luna. Era una dichiarazione azzardata, dal momento che nessun uomo era stato mai mandato nemmeno in orbita, ma tant’è, grazie al Presidente la corsa alla Luna aveva avuto inizio agli occhi di tutto il mondo. Dopo la dichiarazione gli statunitensi smisero di competere solo con l’Unione Sovietica, e entrarono in competizione soprattutto con se stessi, artefici – e probabilmente in ultimo vittime, della loro stessa propaganda. In un famoso discorso al Parlamento Kennedy chiese i fondi per la corsa allo spazio, lanciando la sfida del secolo. Successivamente in un altro importante discorso pubblico chiese all’Unione Sovietica di collaborare alla conquista alla Luna, operando insieme in una sfida comune, con la congiunzione dei loro sforzi. La risposta di Kruscioff fu assai poco incoraggiante e negò che l’Unione Sovietica avesse in progetto di inviare cosmonauti «in una imprese senza adeguata protezione».
Poi per la Nasa ebbe inizio la lunga sequela di fallimenti e ne capitarono di tutti i colori prima ancora che un solo Apollo fosse lanciato nello spazio: i progetti in fase di collaudo fallivano uno dietro l’altro, finché avvenne la tragedia di Apollo 1, in cui i tre astronauti furono bruciati vivi nella capsula che avrebbe dovuto lanciarli nello spazio, mentre si trovava ancora a terra. È interessante conoscere che ben due rapporti della Nasa, in tempi successivi, il rapporto del generale Philips, direttore del Progetto Apollo e il rapporto Baron furono estremamente critici. A parte i costi, che avevano superato ogni previsione, una serie infinita di malfunzionamenti e di disgrazie avevano condotto l’impresa verso il fallimento: vi erano problemi con l’incremento del peso della struttura. Non funzionavano il servizio di propulsione, il sistema elettrico, i serbatoi del modulo di comando (che venne distrutto in un collaudo), non funzionava il controllo ambientale, malfunzionante era il modulo del razzo Saturno, non riuscirono a risolvere i problemi con il 2° Stadio del razzo Saturno, che infine esplose, anche i razzi vettori erano esplosi pochi giorni prima della tragedia di Apollo 1, vi erano fessure e crepe nei serbatoi del carburante, vi erano perdite di carburante, il Lem era stato progettato con cavi troppo fragili che si rompevano. Insomma, per i responsabili della Nasa era chiaro che il progetto galleggiava in acque paludose, ma forse non galleggiava affatto e la navicella spaziale rimaneva ancorata da mille problemi come una barca in un bosco. Il tempo però passava e lo scadere del decennio previsto per portare a termine l’impresa secondo le promesse volgeva al termine.
Date queste condizioni oggettive (che però per lo più il grande pubblico non conosceva) non fu difficile supporre che l’allunaggio fosse la più grande frottola del secolo che fosse stata organizzata in modo molto efficiente in uno studio cinematografico. Il padre della teoria del complotto lunare (Moon Hoax) fu Bill Kaysing, un ex dipendente della Rocketdyne, la società che aveva costruito per la Nasa i motori utilizzati nel progetto Apollo, il quale dichiarò nel libro «Whenever went to the Moon», 1976 («Non siamo mai andati sulla luna») che la Nasa con il governo degli Stati Uniti si erano inventati una narrazione accettabile e credibile per non fare la figura dei gonzi.
Esistono molte prove che gli accadimenti siano andati proprio così: prove riguardanti il fatto che il modulo lunare non aveva lasciato impronta sul terreno (a differenza dei piedi); il fatto che nei filmati compaiano ombre provenienti da fonti di luci diverse (proiettori) mentre la unica fonte di luce sulla Luna dovrebbe essere il Sole; il fatto che la camminata al rallentatore degli astronauti sia stata ottenuta con cavi e tiranti (come in un circo) di cui, ahimè si intravedono i riflessi di luce; la presenza sulle immagini di inspiegabili segni di crocette, uguali a quelle che usavano i fotografi per stabilire dove migliorare le foto, il che fa pensare a modificazioni successive allo scatto; il leggero sventolamento della bandiera americana, che avrebbe dovuto essere perfettamente ferma in assenza di aria. Seguono altre prove, ma quella che personalmente trovo più convincente riguarda le fasce di Van Allen: due fasce, che potremmo immaginare come due ciambelle, che avvolgono la terra e sono formate da un’alta concentrazione di particelle cariche di elettroni e protoni, e sono fortissimamente radioattive. Come è possibile che l‘uomo abbia superato le fasce di Van Allen, se di fatto ciò rimane impossibile? All’inizio delle sperimentazioni del progetto Apollo la Nasa manifestava enormi preoccupazioni per questo problema, ma da un certo momento in poi si cominciò a minimizzare del tutto ciò che di fatto non era scientificamente minimizzabile, anzi, a non parlarne più del tutto. In seguito però si è tornati a parlare delle fasce di Van Allen come di un problema insormontabile. Sembra il gioco delle tre carte.
Allora proviamo anche noi a prenderne una, di carta. Estraiamo dal mazzo di Tarocchi la carta della Luna. Una carta priva di forme umane. Dall’alto la Luna osserva quanto avviene sulla Terra con occhi severi, socchiusi; un granchio sta uscendo da acque paludose; un cane e un lupo rivolgono lo sguardo alla luna, ululando; due torri aprono il varco verso una sorta di fine del mondo. Da una parte, quella che non vediamo, si nasconde il mondo della realtà, da questa parte, quella illustrata nel diciottesimo Arcano, sta il mondo dell’inconscio, dei sogni, dei sentimenti, cui la carta è legata. Ma è anche considerata la carta delle grandi illusioni.Forse come quella vissuta più di cinquanta anni fa. Mentre lei, la luna, è sempre la stessa. Chiusa nel suo silenzio. Potessimo chiedere a lei…
Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai, silenziosa luna?