FACCIAMO GLI INDIANI? (pubblicato su “Parole in rete”, aprile 2022

Che la mitraglia sia strumento di guerra si sa, e gli effetti li constatiamo ampiamente, da quando la vediamo in uso metaforico su ogni schermo, all’opera per orientare contemporaneamente e uniformemente il messaggio di tutti i mainstream  italiani, europei e statunitensi alle prese con la questione ucraina. È stata fatta tabula rasa affinché non si potesse sparare il benché minimo colpo di pensiero diverso dal pensiero unico universalmente proposto: qualunque giornalista abbia provato a sparare qualche pallino di pensiero (anche piccolissimo, per carità), sollevando qualche parola di dubbio, è già stato cacciato. Come in una vecchia pellicola di film western l’unica visione dei fatti  proposta non mette in dubbio che gli unici cattivi non possano essere che gli indiani. Il film è mandato in onda contemporaneamente su tutte le reti, quasi con le stesse parole, immagini simili e identici richiami agli aspetti deteriori dell’emotività,  così che la realtà fruibile nell’informazione non possa essere che una. 

Anche quando da bambini giocavamo con cugini e amichetti ai “cowboys e agli indiani” io ero l’unica che voleva stare dalla parte dei perdenti e preferivo arco e faretra a cavalli e pistole: oggi, da vecchia, non sono molto cambiata, e come allora mi chiedo se la narrazione la si conti giusta. Constato che la mossa propinata dai cowboys, oggi come allora, è risistemarela storia, per farla dimenticare, naturalmente.

Così oggi la visione filoamericana delle vicende attuali ha un’amnesia provvidenziale nei confronti degli impegni presi a suo tempo da Stati Uniti nei confronti di Mosca. Si era nel 1990, febbraio, quando James Baker, Segretario di Stato in colloquio con Gorbaciov usò (per tre volte, come il canto del gallo) l’espressione «not one inch eastward»: non un pollice in direzione est. L’impegno reciproco fra paesi occidentali e Mosca era che la Germania fosse l’unico Paese dell’ex patto di Varsavia a entrare nella NATO. Ma la storia andò poi diversamente. Infatti dal 1999 al 2004 è terminato l’ingresso del primo pacchetto di paesi:  Bulgaria, Estonia Lettonia, Lituania, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Ungheria. Poi sono entrate Albania e Croazia; nel 2017 Montenegro, nel 2020 Macedonia del Nord.

Negli archivi della National Security sono presenti una trentina di documenti risalenti fino al 1990, i quali riportano la trascrizione di conversazioni durante le quali furono date ai leader sovietici rassicurazioni contro l’espansione della NATO  da parte di Baker, Bush, Genscher, Kohl, Gates. Mitterand, Thatcher, Hurd, Major, Werner (sono reperibili sul sito nsarchive.gwv.edu). Il 6 marzo 1991 i rappresentanti di Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Germania, firmarono, in seguito a un colloquio definito “ 2 più 4”, un documento  in cui di affermava sostanzialmente la necessità di tracciare un confine, coincidente con il fiume Older fra Germania e Polonia,  oltre il quale la NATO non avrebbe mai dovuto spingersi in direzione est. Nello stesso documento di dichiarava l’inopportunità di concedere alla Polonia (che l’aveva richiesta) l’adesione alla NATO: non era possibile «concedere alla Polonia o a altre Nazioni dell’Europa Centrale la possibilità di aderirvi».  Nello stesso documento si faceva riferimento esplicito alla «promessa ufficialmente fatta al’Unione Sovietica che la NATO non doveva espandersi e non si sarebbe espansa verso est «né formalmente né informalmente».

Nel 2014 Kissinger affermava sul Washington Post: «L’Ucraina deve sopravvivere e prosperare… non deve entrare nella NATO». 

Malgrado tutti gli accordi precedenti, alla richiesta dell’Ucraina di diventare membro della Nato, il vertice di Bruxelles nel 2021  ha deciso che  sarebbe stata accettata come membro e ha avviato il Piano d’azione per l’adesione.

C’è di più. Due giorni fa (8 aprile 2022) abbiamo ascoltato: «Faremo il possibile per supportare l’Ucraina, per fare tutti i passi necessari”, ha detto la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, in visita a Kiev. «Sono qui oggi anche per parlare con il primo ministro Šmihal e con il presidente Zelensky anche in merito alla possibilità di annessione all’Ue. Non c’è solo l’Unione europea, ma anche gli Stati Uniti, il G7, il Canada e il Regno Unito. Faremo il possibile per supportarvi. Tutto il mondo vi supporterà in questa lotta esistenziale».  

Ma Von Der Leyen non era a Kiev solo per fornire il messaggio edulcorante, ma per una ben più importante missione. Infatti portava con sé un questionario che ha consegnato nella mani di Volodymy Zelenski per valutare le condizioni di Kiev circa l’adesione dell’Ucraina alla Unione Europea (domanda di adesione presentata  il 27 febbraio, tre giorni dopo lo  scoppio della guerra). Anche sulla faccenda del questionario la Von Der Leyen ha rassicurato che, malgrado solitamente ci vogliano anni per accettare un’adesione, in questo caso lei stessa si sarebbe impegnata perché fosse fatto «il prima possibile».

Che cosa accadrà dopo l’ingresso nella UE dell’Ucraina, Paese in guerra?

Non dimentichiamo che il Patto Atlantico, di cui la NATO è l’Organizzazione Internazionale, stabilisce all’articolo 5: «Le parti convengono che un attacco armato contro una o più di esse in Europa o nell’America settentrionale sarà considerato come un attacco diretto contro tutte le parti, e di conseguenza convengono che se un tale attacco si producesse, ciascuna di esse, nell’esercizio del diritto di legittima difesa, individuale o collettiva, riconosciuto dall’ari. 51 dello Statuto delle Nazioni Unite, assisterà la parte o le parti così attaccate intraprendendo immediatamente, individualmente e di concerto con le altre parti, l’azione che giudicherà necessaria, ivi compreso l’uso della forza armata, per ristabilire e mantenere la sicurezza nella regione dell’Atlantico settentrionale. Ogni attacco armato di questo genere e tutte le misure prese in conseguenza di esso saranno immediatamente portate a conoscenza del Consiglio di Sicurezza. Queste misure termineranno allorché il Consiglio di Sicurezza avrà preso le misure necessarie per ristabilire e mantenere la pace e la sicurezza internazionali».

Quanti di noi si rendono conto del futuro che ci aspetta?

A proposito di indiani,  diceva una preghiera Comanche: 

«Oh, grande spirito, concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, e il coraggio di cambiare le cose che posso cambiare!»

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