Fin dalla prima Cantica della Commedia campeggiano le figure degli animali, che poi si distribuiranno in varie forme, di cui alcune mostruose, lungo tutto il percorso del Poema. Sbarrano il percorso del Poeta nella Commedia le notissime tre fiere, che si oppongono al suo cammino una dopo l’altra: lonza, leone, lupa.
La fiera rimanda a tempi preistorici in cui l’uomo doveva contro di essa combattere per conquistare spazio di vita e cibo, e soprattutto difendere la propria vita fisica: appartiene dunque, dal punto di vista della storia dell’umanità, a un preistorico piano materiale. Quando l’uomo non ebbe più necessità di cacciare le fiere per difendere la propria corporeità trasferì la memoria della sua antica tappa evolutiva in forme ritualizzate, fra cui ci vengono subito in mente gli spettacoli delle venationes nella Roma antica. Nell’uso rituale degli animali feroci non dobbiamo dimenticare che alle fiere negli anfiteatri romani venivano dati spettacolarmente in pasto sacrificale alcuni condannati a morte; fra questi una speciale preferenza sembrò andare, a un certo punto della storia, ai cristiani.
Dunque nella prima Cantica si oppone a Dante e al suo percorso evolutivo il nemico materiale, forse più in generale un piano materiale, di cui le fiere sono rappresentazione allegorica.
Più incerta è per noi l’identificazione della lonza, ma non per Dante (né per il suo maestro Brunetto Latini), frequentatori dei bestiari; la lonza in ogni modo dovrebbe rappresentare la lince, che Dante nel corso della sua vita ebbe modo di vedere non solo in forma cartacea, ma anche all’interno di una gabbia dove era rinchiusa. La tradizione interpretativa classica vede i commentatori di Dante per lo più d’accordo sul fatto che l’animale di cui abbiamo parlato, la lonza, rappresenti la lussuria, il leone la superbia, la lupa la cupidigia (o avarizia) non solo di beni materiali ma anche di riconoscimenti e onori.
Una interessantissima interpretazione ci viene offerta da Giovanni Pascoli, che si addentra nelle «tre disposizioni cattive» rappresentate dalle tre fiere, punite all’Inferno nello stesso ordine in cui le tre bestie feroci si presentano; ci spiega che il riferimento di Dante va a Cicerone che divide la malizia in vis e fraus. Ma è Luigi Valli, studioso dell’opera di Giovanni Pascoli su Dante, a approfondire la spiegazione: la lonza, primo animale incontrato dal Poeta, rappresenta l’incontinenza o corruzione dell’appetito, ma «la corruzione dell’appetito», dice «diventa facilmente corruzione della volontà, e poi corruzione dell’intelletto» (Luigi Valli, La chiave della Divina Commedia, Luni Editrice 2021). La corruzione della volontà si presenta sotto forma di leone (bestialità, malizia accompagnata da forza); poi la corruzione dell’intelletto si presenta come lupa (malizia con frode).
Ogni fiera sparisce, ma è inglobata in quella che segue: «Il leone contiene la lonza e la lupa contiene il leone, perché la corruzione della volontà implica quella dell’appetito e la corruzione dell’intelletto quella della volontà e dell’appetito» (Valli, L’allegoria di Dante secondo Giovanni Pascoli, Bologna, 1922).
Il peccato più lieve, dunque, sarebbe l’incontinenza o amore del falso bene: l’incontinenza infatti può soltanto corrompere l’appetito (è appetito corrotto), ma diventa bestialità, o corruzione di appetito e di volontà, sotto forma di leone; infine la volontà diventa malizia (o ingiustizia) aggiungendosi anche la corruzione dell’intelletto, in forma di lupa.