(articolo pubblicato su Parole in rete nel novembre 2024)
Appena qualche giorno fa è caduto l’anniversario di uno fra gli episodi più tristi e più gravi della storia della città di Torino. Al trasferimento della capitale del Regno Sabaudo da Torino a Firenze è legato un episodio davvero ignobile, che va sotto il nome di “Strage di Torino”, avvenuto nel 1864: le date sono 20, 21, 22 settembre. Lo si rammenta davvero troppo poco.
Presidente del Consiglio era in quel momento l’ancora odiatissimo (dai torinesi) Mario Minghetti, che firmò le disposizioni del trasferimento della capitale a Firenze; lo stesso Re Vittorio Emanuele II ne fu informato successivamente ed ebbe una reazione disgustata. In una lettera inviata da Visconti Venosta a Costantino Nigra si legge, a proposito della reazione del re, che l’apprese «non solo con ripugnanza, ma con dolore».
Quando si diffuse la notizia della decisione del trasferimento, il giorno 20, la gente scese in piazza (cinque o seimila persone) per manifestare il profondo dissenso. La folla si riversò nuovamente in strada il giorno 21, poi, il giorno successivo, 22 settembre,. In quei giorni avvenne una delle più ignobli azioni dell’Arma dei Carabinieri: fu ordinato agli Allievi Carabinieri di caricare la folla e di sparare.
Il numero dei morti dichiararti ufficialmente fu nettamente inferiore a quello reale. Seguirono due inchieste amministrative, un’istruttoria giudiziaria, un’inchiesta militare, e si formò una commissione d’inchiesta voluta dalla Camera. Con quale risultato, possiamo ben immaginare… A dire tutta la verità solo l’inchiesta militare produsse qualche risultato e si concluse con la condanna di fronte al Tribunale Militare dei carabinieri presenti in piazza Castello il 21 settembre, e con l’avvio al Tribunale Ordinario di quelli presenti in piazza San Carlo il 22 settembre. Poi, silenzio. Così si legge nella corrispondenza De Sanctis: «È una pagina di storia che bisogna affrettarsi a obliare». Già, obliare: chi ricorda oggi la strage di Torino? Solo una lapide in piazza S. Carlo commemora le vittime. Da tanti, tanti anni, nessuna commemorazione.
È un triste episodio con cui si concluse per Torino (e forse non solo) il processo dell’unificazione della Penisola e di costruzione del Regno d’Italia, parte importante della storia di Torino. Il Risorgimento è stato oggetto di una narrazione ufficiale contro la quale si sono schierate, negli ultimi 60/70 anni, idee alternative, oppositive e fortemente critiche. Al di là di alcune interpretazioni sensazionalistiche e di una rilettura piuttosto provocatoria, fondata su valori neoborbonici, che rifiutano la condivisione dei valori del processo di unificazione della nostra Nazione (e naturalmente del Risorgimento), di cui la città di Torino fu centro propulsore e attore primario, dobbiamo riconoscere che la visione storica proposta da oltre centocinquanta anni pecca, oltreché in profusione eccessiva di dati retorici, di mancanza di analisi delle complicate dinamiche del processo della nostra unificazione. Spesso il revisionismo di stampo borbonico si è fondato su racconti privi di fondamento storico, di aneddoti spesso inventati, riferiti da personaggi poco alfabetizzati, spesso uomini della strada con opinioni personali molto ostinate ma poco veritiere: insomma pseudo-verità del tipo “me l’ha detto mio cuggino”. Per contro abbiamo ormai certezza che a Torino Cavour coltivasse ottime relazioni con l’élite finanziaria francese e con quella britannica, desideroso di allineare ad essi, modernizzandolo, il Regno Sabaudo. Forte degli accordi segreti di Plombières (che prevedevano l’aiuto francese in caso di attacco del Regno Sabaudo da parte dell’Austria) arrivò a provocare l’Austria portando truppe consistenti al confine (II Guerra d’Indipendenza). Coltivò rapporti con Londra, che aveva l’obiettivo di controllare e dominare il Mediterraneo, oltre a quello di opporsi al suo maggior competitore nel Mediterraneo, rappresentato dal Regno delle Due Sicilie – tra l’altro preda ambita per la presenza di miniere di zolfo utile per la polvere da sparo.
Ebbe così inizio una congiura internazionale, un vero atto di pirateria per spazzare dalla scena il Regno delle Due Sicilie. Fu istituito un fondo per supportare finanziariamente la spedizione dei Mille, che la storia ufficiale ha poi sempre rappresentato come storia epica: in realtà nulla vi fu di improvvisato né di spontaneo e, sebbene molti ideali patriottici furono autentici, essi vennero strumentalizzati ed eterodiretti. La spedizione di Garibaldi si avvalse di un ingente finanziamento, di una accuratissima organizzazione militare, che prevedeva una vasta rete di complicità massoniche, vaste corruzioni di uomini/chiave dei Borboni, nonché il reclutamento, per combattere a fianco di Garibaldi, di mercenari da tutto il mondo.
In seguito alla realizzazione dell’unificazione, come sappiamo, Torino divenne Capitale. Lo fu per poco.