I Sutra, vale a dire i versi ispiratori dei principi della matematica vedica sono contenuti in una porzione dell’Atharva Veda (Parishista). Con questo termine nella letteratura indiana si indicano aforismi brevissimi di rituale solenne o domestico, di filosofia, grammatica e letteratura scientifica. Caratteristica dei sutra è un’estrema brevità che li rende oscuri a chi non è in grado di interpretare: non svelano tutto ma servono a riportare alla memoria la conoscenza.
Molte sono oggi le contestazioni dell’occidente, che ad una lettura molto tecnica (molto poco spiritualmente orientata) afferma di non trovare, riguardo alla matematica, ciò che si attende fra quei versi (peraltro di difficilissima traduzione). Non mi interessa minimamente entrare nella polemica.
Desidero però rammentare il valore della parola Sutra, che ha la sua origine in comune con sutura: entrambe servono a cucire, a tenere insieme, a compattare. La parola sanscrita significa propriamente filo, cordicella (dalla radice siv, cucire). Lo scopo è cucire le conoscenze umane affinché non vadano definitivamente disperse.
Quanto ai contenuti matematici del mio libro di racconti, riporto l’attenzione ai calcoli aritmetici che i giovanissimi studenti affrontano nel loro percorso scolastico. Cinquemila anni fa gli uomini sapevano come fare per muovere la loro mente come una naturale calcolatrice, senza bisogno di appendici elettroniche: lo svelamento dei Sutra matematici ha permesso a noi contemporanei di disincrostare una forma di conoscenza che è rimasta a lungo in sonno.