PIEMONTE OCCITANO
(Servizio pubblicato sul n. 1 della rivista InOgniDove)
Occitania e lingua d’oc
In carrozza! Si parte con la carovana Balacaval
Curiosità occitane in Italia
Occitania e lingua d’oc
L’Occitania è il territorio in cui si parla la lingua d’oc, o occitano o provenzale. L’occitano, è una lingua indoeuropea, appartenente al gruppo occidentale delle lingue neolatine, si è formata dalle lingue iberiche e celto-liguri, in seguito latinizzate dalla successiva conquista romana.
Fu Dante a usare per primo la definizione di lingua d’oc, quando nel XV secolo tentò una classificazione tra le lingue romanze individuando tre idiomi: la lingua del sì, l’italiano, la lingua dell’oil, il francese; la lingua d’oc, l’occitano. Per definirle prese come riferimento la particella Òc (dal latino hoc est : è questo, è così) che indicava l’affermazione, il francese la derivava invece daillud est(quello è) e l’italiano da sic est(così è).
Il termine Occitania, dunque, indicava l’insieme delle regioni in cui si parlava la lingua d’òc. L’estensione del territorio occitano è delimitata a Nord da un filo che unisce Bordeaux a Briançon oltrepassando Limoges, Clermont-Ferrand e Valence. Questo filo ideale, non segnato su alcuna mappa, attraversa le Alpi e comprende valli sul versante italiano, a ovest lungo il mare si allunga sulla costa mediterranea da Mentone sino alla Catalogna. Infine si dirige verso i Pirenei, tocca in Spagna i Paesi Baschi e arriva fino all’Oceano Atlantico. Non si è mai smesso di parlare la lingua d’oc, che pure fu lungamente considerata nelle Valli Piemontesi alla stregua di un dialetto.
Nella storia dell’Occidente europeo non è mai esistito uno stato di Occitania; pur riconoscendosi l’etnia come un’entità avente alcune precise caratteristiche – prima fra le quali l’uso della lingua d’oc, non è mai stato costituito un Paese unito in grado di essere riferimento istituzionale unitario. Tuttavia nel 1213 si formò per la prima volta una confederazione di realtà occitane intorno al conte di Barcellona, il quale era anche conte di Provenza e re d’Aragogna, sotto il quale si sottomisero il conte di Tolosa ed altri feudatari minori.
Nella storia del Piemonte si è spesso intrecciata la storia dei Valdesi con la storia della lingua d’oc e anche oggi la comunità valdese si sente coinvolta nella valorizzazione della cultura occitana.
Lungamente perseguitati come eretici dalla Chiesa Cattolica e dai poteri temporali fin dal 1200, le comunità dei Valdesi iniziarono a stanziarsi nei territori del Piemonte corrispondenti alle attuali province di Cuneo e Torino, portando con sé la lingua e la cultura occitane. Attualmente il Piemonte ospita 41 delle 120 chiese italiane, di cui 18 si trovano nelle cosiddette Valli valdesi in provincia di Torino, cioè la Val Pellice, la Val Chisone e la Val Germanasca; la sola città di Torino ne possiede quattro. Questi territori sono il fulcro della Chiesa evangelica valdese; ogni anno a fine agosto, il paese di Torre Pellice, in Val Pellice, ospita il Sinodo Valdese, durante il quale si riuniscono in assemblea i deputati e i pastori delle chiese locali.
La lingua occitana, ben radicata nelle sue terre, sorprende oggi per la forza con la quale tuttora getta germogli, riuscendo a sostenere la propria cultura, senza mai rinunciare a far sentire la propria voce. Non va dimenticato che fu la lingua attraverso la quale si espressero la poesia e la cultura poetica trobadorica; nel 1905 a Federico Mistral fu assegnato il premio Nobel per il poema in occitano/provenzale,“Mireio”.
In Italia sono occitane quattordici valli e centoventi comuni delle province di Cuneo, Torino e Imperia con i suoi 180.000 abitanti. In Piemonte la cultura occitana si estende sul territorio cuneese dall’Alta Val Tanaro, Corsaglia e Maudagna alle valli Ellero, Pesio, Vermenagna, Gesso, Stura, Grana, Maira, Varaita e Po con le laterali Bronda e Infernotto. Proseguendo in territorio torinese, si aprono le valli Pellice, Chisone, Germanasca e la Valle di Oulx, con cui si indica l’alta Val Susa. L’Occitano ha delle varianti locali e tra queste il Vivarese o Occitano alpino, di cui fanno parte le parlate delle valli occitane d’Italia.
In carrozza! Si parte con la carovana Balacaval
Loro si presentano così: Manuela “marcetta” Almonte (manager, blogger, nonché fisarmonicista, cantante e tuttologa); Stefano “victor” Protto (progettatore e costruttore dei carri. Talvolta contrabbassista e violinista. Venditore occasionale di coltelli); Peyre “raki” Anghilante (arrangiatore fisarmonicista e sassofonista, madrelingua occitano Doc. Massaio della compagnia); Claire “gum” Vincent (clarinettista e flautista di scuola francese, percussionista, blogger e rifinitrice di carrozze); Eva “evalise” Cischino (attrice, barista, regista degli spettacoli, portatrice di umanità e gentilezza nel rude mondo dei Balacaval); Alberto “jacuhammed” Comino (percussionista, tecnico, ex spartitraffico, riequilibratore di energie interne); Marco “cancello” Ghezzo (violinista e contrabbassista, cuoco macrobiotico e anche sassofonista); Andrea “peanuts” Fantino (fotografo e videomaker più o meno nerd a seconda della giornata). Tutti insieme sono la Carovana Balacaval.
Viaggiano in carovana, su carri trainati da cavalli, che assomigliano tanto a quelli che noi, generazione cresciuta con i western, abbiamo ammirato in tanti film che raccontavano la conquista dell’Ovest. Chi di noi non ha sognato di viaggiare così? Divenuti grandi, qualcuno fra noi ha più modestamente tradotto l’agognata carrozza in un camper col quale girare il mondo, altri hanno rinunciato del tutto affidandosi alle più o meno numerose stelline dell’ospitalità alberghiera.
Ora, qui non c’è necessità di scoprire un nuovo mondo, né quella di decidere da che parte stare, se con gli indiani o con John Wayne, la carovana non si pone mete geografiche alla fine del mondo, ma quella di fare un viaggio insieme. Chi viaggia? Una compagnia di attori e musicisti, con l’equipe di tecnici. Portano nelle tappe che via via toccano spettacoli e laboratori itineranti; organizzano serate di ballo, cine-concerti nelle piazze e nei parchi piemontesi. Li guida una filosofia di performance che vuole stabilire, in modo molto originale, un contatto con le comunità e il territorio in cui entrano con i propri carri e l’armamentario con cui “far ballare i burattini”. Non si può dire che il gruppo sia colto dalla frenesia di viaggiare ad alta velocità – nessun problema di fuso orario, tranquilli: si va ai cinque all’ora e si arriva quando si arriva.
Là dove arriva la piccola comunità nomade crea il senso antico della “piazza” pronta ad accogliere il pubblico; si monta un carro palco, un carro bar, due carri abitazione, un parquet per il ballo e un impianto di illuminazione che lega insieme l’atmosfera di teatro itinerante di altri tempi.
Avviato il primo progetto nel 2010, oggi, sostenuto dalla Chambra d’Oc e dalla Regione Piemonte stato inserito nel progetto transfrontaliero “Itinerari culturali” dell’associazione Marcovaldo in collaborazione con il Conseil General des Alpes de Haute Provence.
Il territorio in cui la Carovana Balacaval gira è il Piemonte.
Curiosità occitane d’Italia
Cercate sulla cartina geografica, un po’ più a sud delle valli occitane piemontesi un nome, il nome di un paese – peraltro molto piemontese – che tuttavia ha origini occitane. Fissate la mappa, per ora, e cercate. Così, sì, ma un po’ più in giù, ancora un po’… ancora? Sì, ancora. Dobbiamo arrivare laggiù, nella parte bassa dello stivale, in provincia di Cosenza. Ed eccolo lì, Guardia Piemontese: paese occitano dalle tragiche radici, con una storia di persecuzione alle spalle, come nella storia degli occitani spesso accade.
Questa è una storia di persecuzioni religiose di tanto tempo fa. Un gruppo di Valdesi si era mosso verso sud alla ricerca di uno spazio di vita in terra di Calabria, forse spinto da un’endemica situazione di paura che vedeva la popolazione valdese muoversi in Piemonte in una condizione di permanente pericolo.
Non si sa quando i valdesi giunsero in Calabria, ma si possono avere scarsi dubbi sulle motivazioni. Secondo alcuni studiosi, essi vi giunsero attorno al XIII secolo per sfuggire alle persecuzioni in atto nelle valli piemontesi. In Calabria, i Valdesi assestati in quella zona poterono godere di una vita relativamente tranquilla fino a quando la Chiesa Valdese aderì alla Riforma protestante (risoluzione di Chanforan, 1532). Allora i Valdesi calabresi presero a essere considerati eretici, e furono perseguitati al sud nello stesso modo con cui lo furono in Piemonte e in Provenza. La caccia all’eresia vide una respressione molto cruenta e i valdesi di Calabria furono meticolosamente perseguitati: insediamenti, borghi, villaggi distrutti; uomini, donne e bambini furono sgozzati o arsi sul rogo. Chi rimase in vita fu costretto a convertirsi alla religione cattolica, o forse proprio per questo ebbe salva la vita.
A nulla valse che il villaggio fosse sorto in posizione elevata (circa 500 metri sul livello del mare) e e che fosse cinto da mura a scopo difensivo, che fosse presente un’antica torre d’avvistamento realizzata (assieme a molte altre sparse lungo la costa tirrenica) tra XI e XII secolo per segnalare in anticipo le incursioni di pirati e saraceni. La tradizione popolare, infatti, aggiunge al racconto anche il fatto che molte donne e molti bambini siano stati venduti ai mori. “Li turchi” infestavano costantemente le zone costiere e non si stenta a credere che vi fosse chi, spinto da uno spirito commerciale completamente privo di scrupolo, avesse potuto concludere un simile commercio. I turchi, i mori nell’immaginario della musica popolare sono rimasti immortalati nella loro paurosa veste di conquistatori. “A tocchi a tocchi ‘na campana sona / li Turchi so’ arivati alla marina…” si cantava già nel 1500. “Mamma, li Turchi!” era il grido di allarme che rimbalzava fra le atterrire popolazioni costiere quando stavano per approdare alle rive: le scorrerie dal mare erano frequenti e lasciavano segni terrificanti. Turchi, saraceni, arabi, musulmani, mori: molti nomi in un solo fascio per indicare chi da oltremare giungeva per razziare, saccheggiare e distruggere.
I più deboli pagavano il prezzo più alto.
Oggi a Guardia Piemontese si è conservata la tradizione della parlata occitana. La lingua locale si denomina guardiolo. Costituisce l’unico esempio di lingua occitana nel meridione italiano.
Non si è conservato nelle altre località edificate e abitate dai Valdesi nei secoli passati. Infatti, oltre che a Guardia Piemontese (allora chiamata La Guardia), essi si erano insediati anche in altre località dell’attuale provincia di Cosenza tra le quali Montalto Uffugo, Vaccarizzo, San Vincenzo La Costa e San Sisto dei Valdesi.