L’articolo è comparso sul n. 9/2014 di InOgniDove (fa parte di un servizio intitolato STORIE DI DEMOCRAZIA NEGATA)
No Tav: vale a dire No alla realizzazione della linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione. Nasce da questa idea fondamentale il Movimento No-TAV fin dagli anni ’90. A non volerla, la ferrovia ad alta velocità, sono cittadini delle valli al di qua e al di là delle Alpi.
I nostri, considerati nel loro nucleo fondamentale, vivono nella valle maggiormente interessata al problema: la Val di Susa. Dei Valsusini sono le terre che il Governo ha espropriato per consentire la successiva realizzazione del progetto. Sono terre amiantifere, in cui è presente anche uranio: entrambi i componenti costituiscono condizioni di pericolo nel caso di diffusione, attraverso l’aria sollevata durante gli scavi, per la salute degli abitanti della Valle, e non solo. Il Movimento No Tav ritiene che la realizzazione della linea ad Alta velocità comporti innumerevoli danni ambientali e che costituisca una violazione di un diritto fondamentale dei cittadini: il diritto alla salute (propria e delle generazioni future). Il pericolo amianto ha già costituito in Valle di Susa, in anni precedenti, un impedimento alla realizzazione di lavori pubblici assai più modesti, come la circonvallazione di Claviere; lo stesso impianto olimpico di bob dovette essere per lo stesso motivo spostato da Sause d’Oulx a Cesana.
I Valligiani, inoltre, temono le difficoltà e l’eventuale pericolosità di dover drenare, in seguito alla realizzazione del tunnel previsto di 50 km. fra Italia e Francia, fra Susa e Maurienne, un volume di circa un centinaio di milioni di litri d’acqua (125 milioni, per la precisione) provenienti dalle falde sotterranee il cui cuore sarebbe irrimediabilmente devastato.
Non c’è di che stupirsi, se la perplessità è grande: l’Italia non è nuova a disastri idrici causati dall’azione stessa dell’uomo e delle sue costruzioni. Basta pensare alle conseguenze del tunnel del Mugello: la sparizione di un fiume, 57 Km di torrenti completamente asciutti in estate, 73 sorgenti prosciugate insieme a 45 pozzi, oltre a 5 acquedotti che ora devono essere riforniti forzatamente con un sistema di pompaggio. Pensiamo anche a quanto accadde alle porte di Torino, cioè ai seri danni causati alle falde acquifere, in seguito a grandi opere di costruzioni di linee accompagnate da alte muraglie di sbarramento, che hanno provocato nel quartiere torinese di Falchera l’impedimento del deflusso naturale che le falde possedevano in precedenza, con conseguente rialzo delle acque, e pesanti disagi per le fondamenta delle case. Come risultato, non solo le case vanno a mollo, ma anche la stazione ferroviaria di Stura è perennemente allagata (l’acqua è forzatamente pompata via da grandi pompe permanenti); quanto al tunnel sotterraneo della linea 4, basta un serio temporale a richiederne la chiusura. Uno scandalo di cui – difficile da credere – non esiste un responsabile.
Tornando in Valle di Susa, se pure si volessero tralasciare momentaneamente i fattori di preoccupazione legati all’ambiente, è impossibile non domandarsi: «Qual è l’utilità di un’altra linea ad alta velocità in questa Valle?». Inoltre, anche se se si ammettesse che la linea Tav potesse essere di effettiva utilita’ per l’Italia e l’Europa tutta, ci si domanda se sia giusto sacrificare così pesantemente la qualità della vita di un’intera popolazione.
Anche in riferimento a questo quesito il Movimento No Tav avanza il fondato dubbio che, poiché il traffico tramite ferrovia da anni rivela una progressiva e costante diminuzione, al termine della costruzione della linea, anch’essa potrebbe rimanere pesantemente sottoutilizzata. Dunque in merito a questo faraonico progetto, sarebbe opportuno, doveroso, mettere sul piatto della bilancia costi-benefici, vantaggi e svantaggi di questo progetto, per avere dati certi circa la sua effettiva utilità e convenienza. Il gioco vale davvero la candela? A fronte di costi umani ed economici elevatissimi (che pesano su finanze pubbliche e sulla coesione sociale di un Paese, lacerato da questa difficile questione), si dubita che i vantaggi di questo progetto siano davvero così certi.
Come si può oggi appoggiare con fiducia progetti così imponenti e costosi in nome di un confuso e nebuloso progresso, senza porsi il dubbio che in realtà possa nascondere anche interessi di guadagni e profitti illeciti e che nulla hanno a che fare con gli interessi e profitti dei cittadini di un Paese democratico e civile? Roberto Saviano denunciò in un’inchiesta su Repubblica del 6 marzo 2012 la presenza della lunga mano della mafia sui cantieri Tav, arrivando ad affermare che negli ultimi trent’anni l’alta velocità era diventata una vera e propria occasione per la diffusione della corruzione e della criminalità organizzata. Scriveva: “La storia dell’alta velocità in Italia è storia di accumulazione di capitali da parte dei cartelli mafiosi dell’edilizia e del cemento. Il tracciato della Lione-Torino si può sovrapporre alla mappa delle famiglie mafiose e dei loro affari nel ciclo del cemento. Sono tutte pronte e già si sono organizzate in questi anni”.
A monte di queste poche ragioni indicate, fra quelle che i No Tav adducono a sostegno della propria lotta (il discorso è assai complesso e non si esaurisce qui), vi sono ragioni a monte che si fondano su alcuni principi. Diceva Cavallo Pazzo, guerriero Sioux: «Non si vende la terra su cui cammina un popolo». Cammina, vive, fa agricoltura, raccoglie, cura boschi, mantiene in equilibrio l’ambiente…
Come può un principio tanto fondamentale essere ignorato? Vale a dire: non dovrebbe essere naturale che un popolo debba essere il primo ad essere interpellato di fronte a progetti pensati per il territorio su cui vive? Perché invece non conta la sua voce nell’amministrazione di se stesso e delle sue terre?
Il grave impatto e il costo in termini di salute e qualità della vita di una popolazione può essere sacrificato in nome di un’opera colossale anche se, e non ci sembra essere questo il caso, questa costituisce un’opera destinata al presunto progresso di un intero Paese?
Si pone una questione molto delicata e sulla quale occorre riflettere a fondo: in nome della democrazia e del presunto “grande bene” di una Nazione, si può sacrificare il “piccole bene” di una popolazione di un’intera valle?
Non è la prima volta nella storia che per “ragioni di interesse nazionale” si agisce ignorando il parere dei cittadini abitanti nei territori coinvolti direttamente dalle decisioni, e in Valle di Susa la questione No Tav troppo spesso oggi si confonde solo con problemi di ordine pubblico, dimenticando che occorre invece misurarsi sui temi fondamentali che sono alla base delle proteste, democratiche e civili, dei Valsusini. Si tende a tacitare la voce di un movimento d’opposizione alla linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione che ha caratteristiche democratiche e la cui libera espressione dovrebbe come tale avere peso e riconoscimento della sua legittimità e dignità. Tutto ciò ha ormai assunto le proporzioni di una vera e propria questione dolorosa di democrazia negata. I diretti interessati, i cittadini, perché non possono partecipare alle importanti decisioni politiche ed economiche che sono destinate a cambiare sostanzialmente le loro vite?
Perché un diritto che pare tanto fondamentale, cioè il diritto di partecipare alle decisioni che riguardano la propria vita, che coincide con il diritto alla vita stessa, può essere ignorato e calpestato, in nome della parola progresso?
Quanto al resto dell’Europa, è bene rammentare che la Torino-Lione non dovrebbe essere che un segmento di un lungo asse di collegamento fino al confine ucraino, che nelle intenzioni dovrebbe passare attraverso Italia, Slovenia e Ungheria: 1.638 chilometri di ferrovia. Fino ad ora però ne sono stati completati solo 234. Un ritardo cronico sembra ammalare il progetto dell’asse, pensato fin dagli anni ’80. Una breve tratta è stata costruita tra Slovenia e Ungheria, ma per il resto la via ferrata non solo non esiste ma deve ancora iniziare ad essere progettata, in alcuni paesi persino pensata.