Bellezza e condivisione

 

Yann Arthus-Bertrand è un ambientalista francese, che usa giornalismo e fotografia per comunicare le sue idee di ambientalista. Davanti ai suoi video e alle sue fotografie si ha l’impressione non solo di cogliere un messaggio, attraverso il quale ci viene spiegato un processo di trasformazione (anche di lunga durata), ma di essere addirittura destinatari di una rivelazione, che ci coinvolge nella trasformazione stessa.
Arthus-Bertrand crea documentari e fotografie aeree, per le quali ha una vera e propria vocazione. Ma anche il contatto umano è parte essenziale del suo lavoro.
Nel 1994, con il patrocinio dell’Unesco dà vita al progetto di un inventario dei più bei paesaggi del mondo fotografati dal cielo. Il suo motto è: «Testimoniare la bellezza del mondo e tentare di proteggere la Terra». Fa una sorta di catalogo dei luoghi più belli fin dal ’94, quando raccoglie le sue foto in La Terre vue du Ciel. Alcune delle foto più belle vengono pubblicate nel libro omonimo, che venderà 3 milioni di copie in 24 lingue. Le sue mostre fotografiche fanno abitualmente il giro del mondo.
Le sue idee ecologiste lo portano a fondare l’associazione internazionale GoodPlanet.org e dà vita alla iniziativa Action Carbone, un programma destinato a compensare le emissioni di gas generati dalla sua attività di fotografia aerea, tramite il finanziamento di progetti per lo sviluppo di ricerca di energie rinnovabili, per i progetti di riforestazione e quelli sul risparmio energetico.
Nel 2003, dopo The Earth seen from the Sky, Yann Arthus-Bertrand, con Sybille d’Orgeval e Baptiste Rouget-Luchaire, lanciano il progetto 7 billion Others project. Seimila interviste vengono filmate in 84 paesi. Alle persone vengono poste domande fra loro simili: che cosa hai imparato dai tuoi genitori?, per esempio. Oppure, che cosa vuoi trasmettere ai tuoi figli? Quali difficili situazioni hai attraversato nella tua vita? O ancora: che pensi che significhi l’amore per te? Risponde il pescatore brasiliano, il docente tedesco, l’agricoltore afgano…, rispondono in seimila.
Lo scopo della performances di Arthus-Bertrand è scandagliare in un migliaio di ore di interviste alcune questioni fondamentali per l’uomo, che sono poi quelle che uniscono e allo stesso tempo dividono l’umanità.
«Ci sono più di sette milioni di umani sulla faccia della terra; tuttora non esiste uno sviluppo sostenibile e non siamo in grado di organizzarci per vivere pacificamente insieme. Questi sette milioni sono così importanti per me». Sono state queste parole a incoraggiare ognuno di quei seimila ad accettare di essere intervistato: la possibilità di dire ma anche di ascoltare gli Altri, di dare attraverso le proprie idee un contributo alla vita, facendo dono della propria esperienza, ed esprimendo un desiderio da condividere.
Un progetto altrettanto importante è Climate voices. Vuole essere un segnale di allarme per chiunque, compresa la comunità scientifica. Anche qui si tratta di interviste a seicento persone di diciassette paesi diversi. Sono testimoni diretti, provenienti da ogni continente, che hanno vissuto problemi direttamente correlati con il cambiamento climatico. Facciamo qualche esempio: la questione di come il cambiamento climatico abbia costretto in Alaska il modo di pescare dei pescatori di professione, come in California si debba affrontare l’incendio di foreste, in Canada e Quebec lo scioglimento dei ghiacci, con la scomparsa dei villaggi dei nativi; in Perù la drastica discesa del termometro, nel Mali, la desertificazione, e in conseguenza i conflitti fra allevatori e agricoltori, in Spagna, Almeria, la siccità; e poi ancora… le migrazioni delle specie, l’alzarsi delle acque, la scomparsa di terre, la recrudescenza della malaria, i disastri naturali, i tifoni, gli esodi di popoli, la scomparsa di barriere coralline… I disastri non riguardano solo la Terra, ma chi la terra la abita e non va dimenticato che gli eventi sono provocati dai folli comportamenti dell’uomo su risorse e clima.
Sul proprio lavoro di fotografo Yann Arthus-Bertrand dice: «Quando stai per scattare una foto, sale la tensione, l’occhio è all’erta, si è completamente concentrati. In quel momento la macchina fotografica è un’estensione di se stessi. In quel momento non c’è emozione. L’emozione viene dopo». Come a dire che nella professione avviene il distacco emotivo da ciò che si sta fissando in immagine.
Può darsi. Ma aggiungerei che l’emozione la lascia tutta per noi che guardiamo.
L’emozione è data dalla bellezza.
Lo stesso fotografo ammette di aver avuto, per tanto tempo, vera e propria paura per la parola bellezza. Fino a quando non si decise ad ammettere con se stesso che la bellezza contiene una verità. Così non è più arretrato di fronte alla bellezza di un paesaggio, ha semplicemente ammesso che di fronte ad esso tutti proviamo la stessa emozione. E siamo in grado di condividerla.

La bellezza permette di condividere un pensiero e suscita desiderio di conoscere.

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