Buon giorno. Innanzi tutto la ringrazio. Sono felice di aver almeno accontentato un lettore.
Non mi riconosco nella definizione di “surreale”, almeno non in senso storico-letterario. Se intendiamo per surreale un’espressione che si ricolleghi direttamente con il mondo dell’inconscio e dei suoi stati (di sogno e similari, anche indotti in maniera artificiale); se intendiamo riferirci a tecniche, messe in atto dalla letteratura surrealista, spesso basate su causalità, coltivate per attivare l’inconscio, allora siamo lontanissimi dal modo con cui questi racconti sono stati scritti e dalle loro intenzioni.
Non avevo alcun interesse, mentre scrivevo, nei confronti del raggiungimento di uno stato conoscitivo onirico. E’ vero che i racconti attribuiscono, attraverso la personificazione, una vita animata ad animali e a oggetti, o a fenomeni, ma in un modo completamente diverso. In realtà quei racconti sono divertimenti che confermano una predisposizione, oserei dire “congenita” dell’uomo, di intravedere, scovare entità animate nel mondo attorno a lui: le scienze cognitive studiano questa inclinazione umana a riconoscere nel mondo che ci circonda una realtà animata, umanizzata, sembra che la nostra mente sia disposta in modo naturale alla personificazione. Noi trasformiamo la realtà circostante umanizzandola: la nostra mente opera costanti metamorfosi umanizzanti. La cultura, la letteratura e l’arte, d’altra parte, hanno ampiamente confermato questa nostra tendenza ad esprimerci personificando, sia attraverso le parole, sia attraverso l’immagine. Ho voluto riprendere questa tecnica classica, letteraria e iconografica, che la retorica antica conosceva molto bene – non a caso i racconti in cui gioco con la personificazione fanno parte di una raccolta che s’intitola “Prosopopee” (che significa appunto “personificazioni”, aggiungendo ad esse la facoltà della parola).
Ho consapevolmente utilizzato la tecnica, avendo l’occasione di depurarla da seconde finalità. Mi spiego meglio. Nelle forme di comunicazione contemporanea la personificazione e la prosopopea sono al servizio di finalità commerciali. La pubblicità sa bene come sfruttare al meglio l’efficacia della personificazione: la usa per creare un impatto emotivo, per sollecitare nel modo più diretto un processo di immedesimazione fra persone (potenziali compratori) e oggetti di cui si deve indurre il desiderio. Spesso lo fa per mezzo di fumetto e animazione. Il mio scopo narrativo è invece quello di sollecitare la sensibilità del lettore ad un gioco vecchissimo, anzi antico, giocato senza secondi fini, per il puro gusto del divertimento letterario, naturalmente con un registro linguistico lontano da quello del mondo pubblicitario. Quanti di noi hanno pensato che il mal di schiena che li attanagliava fosse così ossessivo e crudele da sembrare avere una vita propria? Questo è ciò che ho provato a fare: dare vita animata alle cose.