Sacro teppismo dei figli di papà di Letizia Gariglio, articolo su “Le parole del ’68” tratto dal mensile on line “Parole in rete”
Anche fra poeti, scrittori, drammaturghi italiani vi fu chi si espresse in toni molto negativi nei confronti degli studenti e del movimento del ’68. Famoso l’intervento di Pier Paolo Pasolini che scrisse ponendosi in forte contrasto contro l’occupazione della Facoltà di Architettura a Roma, in una lunga poesia in forma prosastica.
La battaglia di Valle Giulia rimase il nome con cui si ricorda il grave scontro fra gli studenti e la polizia, avvenuto il 1 marzo del ’68. Quando quattromila studenti, partiti da Piazza di Spagna, si diressero verso la città universitaria per manifestare, non sospettavano che avrebbero dovuto fronteggiare un imponente presidio di poliziotti. La manifestazione degenerò e gli studenti sostennero l’urto delle cariche della polizia. Vi furono più di mille feriti.
La poesia di Pasolini colse l’aspetto particolare del contrasto politico, in cui gli appartenenti a classi privilegiate, vale a dire gli studenti, si trovavano a vivere il ruolo di «rivoluzionari» di estrema sinistra. Diceva il poema, scritto subito dopo gli avvenimenti di Valle Giulia, poi pubblicato su L’Espresso il 16 giugno del ‘68 e successivamente nel volume Empirismo Eretico (nel 1972) da Garzanti:
«I ragazzi poliziotti / che voi per sacro teppismo (di eletta tradizione /risorgimentale)
di figli di papà, avete bastonato,/ appartengono all’altra classe sociale. /A Valle Giulia, ieri, si è così avuto un frammento /di lotta di classe: e voi, cari (benché dalla parte /della ragione) eravate i ricchi, /mentre i poliziotti (che erano dalla parte /del torto) erano i poveri. Bella vittoria, dunque, /la vostra! »
Pasolini definì poi i propri versi «brutti versi» e spiegò successivamente che vi era compresa ironia e autoironia. «Il pezzo sui poliziotti», disse, «è un pezzo di ars retorica, che un notaio bolognese impazzito potrebbe definire, nella fattispecie, una captatio malevolentiae. Dunque, una provocazione! E aggiungeva: «Non posso fare come tanti miei colleghi, che fingono di confondere le due cose (o le confondono veramente!)»,- le due cose a cui si riferisce sono la guerra civile e la rivoluzione – «e presi dalla psicosi si son buttati a corpo morto dalla parte degli studenti (adulandoli, e ricavandone disprezzo); non posso nemmeno affermare che ogni possibilità rivoluzionaria sia esausta, e che quindi bisogna optare (come in un diverso destino storico accade in America o nella Germania di Bonn) per la «guerra civile»: infatti la guerra civile la borghesia la combatte contro se stessa, come ho più volte ripetuto. Né, infine, sono così cinico (come i francesi) da pensare che si potrebbe fare la rivoluzione «approfittando» della guerra civile scatenata dagli studenti – per poi metterli da parte, o magari farli fuori».
Nel tempo i brutti versi di Pasolini rimasero a molti piuttosto oscuri, furono oggetto di misunderstanding e di interpretazioni di comodo, da una parte e dall’altra delle barricate politiche; crearono problemi all’autore all’interno del suo stesso partito; come tutte le cose di troppo difficile comprensione, in cui piani di lettura si sovrappongono ad altri, rimasero parole ostiche.
Ma furono mai facili le parole di Pasolini?
(novembre 2018)