Gender e scuola di Letizia Gariglio, articolo tratto dal mensile on line “Parole in rete”
Le preoccupazioni che procurano la diffusione della teoria gender trovano un serio campo di applicazione nella scuola e nell’educazione. Nei due articoli precedenti mi sono soffermata sulle modalità con le quali le idee “nuove” – e in particolare nel caso la idea “nuova” della teoria gender , abbiano modo di diffondersi e raggiungere capillarmente l’opinione pubblica, in modo da incidere profondamente sui cambiamenti di mentalità del pubblico, fruitore dei mezzi di comunicazione di massa; abbiamo visto come l’uso delle parole e l’uso strumentale del linguaggio abbiamo una parte fondamentale in questo processo. Vorrei ora soffermarmi maggiormente sull’aspetto educativo e osservare come si stiano muovendo le forze che intendono plasmare e persuadere noi “tacchini”, per uniformarci su principi standard eteroforniti e propinati in forma predigerita. Il riferimento sarà diretto ai sistemi scolastici in generale ma in particolare a quello italiano: volgiamo lo sguardo all’ordinamento giuridico italiano e al sistema scolastico italiano.
Da Pechino in poi l’obiettivo gender ha pervaso ogni documento di carattere internazionale ed europeo. La Conferenza di Pechino (1995) ha segnato una svolta cruciale. Fu preceduto da una serie da una serie di riunioni preparatorie, in cui il nucleo originario pensante la questione gender, costituito da gruppi omosessualisti e femministi estremi, si assunse il compito di fungere da testa d’ariete, con il fine di aprire il varco alla teoria. Le riunioni cui mi riferisco avevano stilato documenti preparatori nei quali, per la prima volta si inizio a utilizzare metodicamente e diffusamente il termine gender. I partecipanti a Pechino assunsero subito dopo come proprio il termine , ritenendolo complementare/ alternativo a quello di sesso, e molti di loro non intravidero, nell’accettare e fare propria la nuova espressione, alcune motivo di preoccupazione. Del resto quando qualcuno cominciò invece a preoccuparsi del martellamento della “nuova” espressione, la risposta (scritta) degli organizzatori evidenziò come «i ruoli degli uomini e delle donne e il loro status sono costruiti socialmente» e annotarono come “gender” fosse «un’espressione non negoziabile»: al confronto la parola “sesso” era da considerarsi «svilente».
Entriamo ora in modo più ravvicinato nella questione educativa e negli aspetti che più ci interessano, poiché, come già scritto in altro articolo precedente, personalmente intravedo, attraverso il cavallo di Troia del gender una bella finestra di Overton spalancata sulla pedofilia.
Gli organismi internazionali e le organizzazioni ad essi collegate,(ONU, OMS, UNESCO, UNICEF, Save the children, International Planned Parenthood Federation che orbita nel cielo dell’ONU, grandi e piccole Ong, insieme a strutture meno conosciute, si sono adoperate strenuamente negli anni per promuovere l’agenda di genere, conducendo l’educazione al gender all’interno delle istituzioni e delle strutture scolastiche, attraverso lo strumento dell’educazione sessuale (ancora chiamata con il “vecchio” nome, ma nei cui contenuti si sono installati i principi della teoria gender). Di questa fetta dell’educazione la famiglia sempre essere sempre più desidorosa di autoespropriarsi (o di lasciarsi espropriare), delegando a figure collaterali del mondo scolastico, dotate di una certa patina di competenza tecnica e di pseudo-scientificità. Come in tante altre occasioni la famiglia sembra voler rinunciare, ancora una volta, ad una parte così importante dell’educazione dei propri figli e di farsi portatrice nei loro confronti di valori etici.
Io ritengo che di fatto l’attribuzione dell’educazione alla sessualità agli organismi scolastici ( e ai loro dintorni!) abbai avuto il preciso obiettivo di aprire le piste all’educazioe al gender. Infatti l’OMS, sotto egida ONU, ha promosso, fin da 2010, gli standards per l’educazione sessuale in Europa e attraverso di essi ha fornito un modello esplicito di insegnamento sessuale da impartire ai più giovani (bambini e adulti). Vi sono delineate delle tappe per fasce di età, all’interno delle quali vengono individuati alcuni obiettivi. Porto alcuni esempi esplicativi. Si vuole che da 0 a 4 anni il bambino esplori la propria identità di genere, da 4 a 6 anni abbiano informazioni sulla possibilità di relazioni fra persone dello stesso sesso; dai 6 ai 9 anni conoscano l’idea basa dei metodi contraccettivi (!!!), dai 9 ai 12 anni si soffermino su «piacere, masturbazione, orgasmo e sulla differenza fra identità di genere e sesso biologico».
Va detto che le linee guida dell’OMS, in quanto istituzione internazionale, influenzano potentemente i governi dei singoli paesi.
In Italia un momento importante fu la firma del protocollo d’intesa fra MIUR e Ministero Lavoro e Pari Opportunità (a firma Profumo- Fornero). Nel 2013 fu fondato l’UNAR, organo dello Stato, collegato con il Governo italiano tramite il Dipartimento per le Pari Opportunità e la Presidenza del Consiglio dei Ministri: ha funzione di rimozione delle discriminazioni razziali o di origine etnica, forme di razzismo a carattere religioso o culturale. Fu costituito per decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (11/12/2013). Ora poniamo attenzione: nel documento costitutivo dell’UNAR non compare mai esplicitamente il riferimento al gender o alle discriminazioni sessuali, tuttavia all’interno dell’organismo sono rappresentati una trentina di associazioni LGBT. Lo UNAR è già stato pesantemente collegato a problematiche legate a pratiche di sesso di gruppo e di prostituzione omosessuale (anche minorile), motivi a causa delle quali si dimise il suo presidente, Francesco Spano (si parla del 2017). Il programma TV “Le iene” svelò come lo UNAR annoverasse tra le proprie file di associazioni lo ANDOSS (Associazione Nazionale contro la Discriminazione ad Orientamento Sessuale), associazione che aveva beneficiato di 55mila euro di denaro pubblico (grazie a un bando UNAR): l’associazione è stata accusata di praticare serate fisting nei suoi locali affiliati, di promuovere prostituzione omosessuale, di organizzare orge gay, di promuovere sesso stimolato da droghe (chem sex), la pratica del glory hole, cruising bar, sling room, e altre forme di sesso fra omosessuali di tipo estremo. Lo scandalo ha trascinato con sé l’evidente macroscopico dubbio che l’organismo statale di cui stiamo parlando fosse in qualche modo invischiato nello scandalo. A me interessa sottolineare come proprio l’Andoss abbia lanciato proposte di educazione sessuale e di genere nelle scuole.
In Italia altro momento importante è quello in cui Elsa Fornero, ministra del Lavoro con delega a Pari Opportunità ha varato il documento “Strategia Nazionale per la prevenzione e il contratto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere” (maggio 2013), pubblicato dall’Ufficio Nazionale Antidiscriminazione Razziale (UNAR). Nell’asse (primo asse) riguardante l’istruzione e l’educazione si auspica la diffusione della teoria gender nella scuola e l’ampliamento nella scuola della conoscenza delle tematiche LGBT. Nel documento si dichiara apertamente la necessità di avvalersi dell’esperienza delle associazioni LGBT e il «coinvolgimento degli Uffici scolastici regionali e provinciali sul diversity management per i docenti», fino alla «predisposizione di modulistica scolastica e amministrativa al fine di «diffondere la teoria gender nella scuola». Da quel momento lo UNAR diviene l’organismo ispiratore di ogni provvedimento nel nostro paese riguardante l’assorbimento della teoria gender da parte della scuola.
Dal 2015 la “buona scuola” di Renzi ha pienamente fatto propria le linee guida dell’OMS di cui abbiamo detto poco sopra.
Nel 2016 sono sono state stilate le considerazioni della Commissione Europea contro il Razzismo e le Intolleranze (ECRI). E guarda un po’ che risultato per l’Italia! Per una volta tanto ha avuto la sua carotina con qualche lode , sebbene un rimprovero sia andato alla scarsa efficienza che il nostro Paese ha messo nel risolvere casi di intolleranza e di odio. Ma ecco il bastone: la Commissione si rammarica (ohibò) che l’UNAR non sia investito da poteri sufficienti! Tra un rammarico e l’altro l’Italia è invitata ad attuare pienamente la strategia LGBT con una «educazione sessuale che diventi materia curriculare».
Un ulteriore legame fra UNAR e le lobby omosessualiste, che come si è capito è per noi motivo di alta preoccupazione, si manifesta palesemente in episodi di questo genere: nel 2015 l’UNAR chiese di accreditare, forse per rendere migliore la già “buona scuola”, il circolo di Culturale omosessuale Mario Mieli, presso il Ministero Istruzione, come “ente di formazione”.Ora la “formazione” è probabilmente quella auspicata dal fondatore dell’associazione, omosessuale e pedofilo, che già nel 1977 scriveva nel saggio “Elementi di critica omosessuale”: «Noi checche rivoluzionarie… possiamo amare i bambini. Possiamo desiderarli eroticamente rispondendo alla loro voglia di Eros, possiamo cogliere a viso e a braccia aperte la sensualità inebriante che profondono, possiamo far l’amore con loro. Per questo la pederastia è tanto duramente condannata: essa rivolge messaggi amorosi al bambino, che la società, invece, tramite la famiglia traumatizza, educata, nega».
Dunque, come è palese, è ad associazioni di questo genere che si vuole affidare l’educazione dei nostri figli: obiettivo è togliere di mezzo la famiglia per mirare ad una “sana” sessualità.
Eppure l’ECRI, organismo dell’Europa, invita l’Italia a realizzare pienamente l’educazione alla condizione LGBT. Tra una raccomandazione e l’altra, non dimentica di sollecitare l’Ordine Giornalisti affinché operi controlli di deontologia professionale sulla questione gender.
Per tutti la catena si fa sempre più corta.
(agosto 2019)