Tra angeli e gender di Letizia Gariglio
(articolo pubblicato su “Parole in rete” nel settembre 2019)
Il nome di “Angeli e demoni” è stato dato all’operazione investigativa apertasi nei confronti di un sistema affaristico, che aveva come scopo principale quello di fare soldi sulla pelle dei minori e delle loro sfortunate famiglie. Gli angeli, intesi come esseri spirituali che assistono e servono gli dei o sono al servizio dell’uomo per proteggerlo, devono aver lavorato piuttosto male in questa faccenda rispetto ai demoni, che invece si sono comportati al massimo della loro operatività. Ma forse, semplicemente, con la parola “angeli” si è voluta sottolineare l’innocenza e la fragilità delle vittime: i bambini.
Dunque: come fare soldi? Togliendo pretestuosamente i figli a famiglie disagiate, in difficoltà economiche. Sul web abbiamo visionato video in cui i figli venivano letteralmente strappati dalle braccia dei genitore, con l’intervento concertato di più demoni: abbiamo ascoltato le urla, introiettato la disperazione e il senso di impotenza di chi, pur non avendo commesso alcun reato nei confronti dei propri figli, se li vedeva rubare dalle braccia. Questi bambini dell’Emilia Romagna valevano una certa cifra e davano la possibilità di lucrare illecitamente sui fondi pubblici destinati alla tutela dei minori con l’affidamento illecito di incarichi di psicoterapia a privati, cosa che comportava l’utilizzo di fondi pubblici, sebbene le Asl avrebbero potuto ricoprire gli stessi compiti. Una volta affidati a un centro “apposito”i bambini venivano poi sottoposti a ulteriori sedute di psicoterapia che ai Comuni costavano 135 euro a seduta di fondi pubblici, a fronte della media di 60-70 euro e nonostante il fatto che l’Asl potesse farsi carico gratuitamente del servizio. Il danno economico per l’Asl di Reggio Emilia, secondo le indagini, sarebbe quantificabile in duecentomila euro.
Il business dunque si fondava sull’allontanamento del minore dalle loro famiglie e sulla “gestione” medica e psicoterapica. Le virgolette ci vogliono se, come dimostrato da migliaia di ore di intercettazione di sedute psicoterapiche effettuate sui minori, queste comprendevano pratiche di maltrattamenti e di violenza, quali l’induzione per mezzo dell’uso di elettrodi di falsi ricordi di abusi sessuali perpetrati dai familiari e mai realmente avvenuti. Le indagini si concentrano ora su forme diverse di mendacità nel redigere le relazioni, di falsità di vario genere: i disegni dei bambini venivano appositamente modificati dagli operatori e artefatti in modo da comunicare l’idea di problematiche di tipo sessuale, fino alla dimostrazione, con questi mezzi, di abuso da parte della famiglia.
Ora sono molti gli indagati per falso in atto pubblico, frode processuale, abuso d’ufficio, depistaggio, peculato d’uso, maltrattamento su minori, violenza privata, lesioni personali, tentata estorsione… Sono coinvolti nell’indagine come accusati sindaci, ex-sindaci, funzionari pubblici, dirigenti, amministratori, psicologi, psicoterapeuti, assistenti sociali, medici… Quella di Bibbiano e dei Comuni della Val D’enza, in provincia di Reggio Emilia, è una storiaccia raccapricciante che ha mosso i sentimenti di molti: ribrezzo, collera, senso d’impotenza. Proprio qui?, ci si chiede, proprio nel nostro Paese, proprio in quella regione ritenuta civilissima e spesso portata a modello per il funzionamento di regole, istituzioni, sistemi? E poi si aggiunge la rabbia, per esserci “cascati”. Del resto anche quotidiani nazionali come “La Stampa” ci erano “cascati” tre anni fa, quando una giornalista del quotidiano torinese senz’altro in buona fede aveva scritto: «C’è un posto in Italia dove la lotta alla pedofilia è una priorità assoluta. E i risultati si vedono. È un fazzoletto di terra in provincia di Reggio Emilia dove gli otto comuni della Val d’Enza – 62mila abitanti, 12mila minorenni, 1900 in carico ai servizi, 31 seguiti per abusi sessuali – hanno costituito un’Unione guidata dal sindaco di Bibbiano, Andrea Carletti, per tutelare i minori». E Carletti, si specificava nell’articolo, era seduto di fianco al medico legale Maria Stella D’Andrea e all’assistente sociale Federica Anghinolfi, quella che oggi viene definita la “madre badessa” dell’associazione a delinquere, mentre nel video si terminava l’incontro chiedendo al governo interventi non solo teorici in favore degli affidi .
Dunque, da paladini a impaludati. E di che putrida palude si tratta!
Disperati siamo, per il tanfo che non possiamo non sentire, e perché le più fosche previsioni che i dati della realtà attorno alla politica di educazione dei minori ci hanno indotti a fare già in precedenza paiono essere sempre più veritiere. Non di fronte a episodi temporanei ci troviamo, bensì dinnanzi a una lunga catena di soprusi, di affidi illeciti, coperti da una cortina di ferro di collusione di persone investite di ruolo professionale nel settore sociale, che operavano in modo infamante. Ma c’è di più. Nel raccapriccio non posso fare a meno di intravedere un legame molto stretto tra gli atti delinquenziali su cui si sta indagando con la propaganda che le stesse persone oggi indagate esercitavano nei confronti della teoria gender, tema di preoccupazione nei mei articoli precedenti. È almeno molto sospetta ai miei occhi la continua presenza di alcuni fra gli accusati a manifestazioni, conferenze, convegni, corsi di educazione sessuale nelle scuole (in favore del gender), progetti scolastici, corsi formativi per promuovere la pluralità di modelli familiari e dei ruoli sessuali, in grado di veicolare e incentivare modelli identitari sessuali diversi da quelli biologici, pensati per la divulgazione del gender, per la conoscenza e la condivisione del tansgenderismo, dell’intersessualismo, del transessualismo: dove, insomma, a a cominciare dai titoli dati alle manifestazioni, era evidente la volontà di realizzare l’agenda gender.
Non voglio entrare nella bolla del pettegolezzo, sebbene qualche domanda me la rivolga su questa storiaccia di amanti lesbiche che divengono -guarda caso! – genitori affidatari, certamente ricevendo un trattamento privilegiato nella scelta di famiglie affidatarie: chiaramente l’eventuale eterosessualità dei sospetti criminali non renderebbe meno disgustoso l’abuso perpetrato ai danni dei minori (e delle loro famiglie naturali), ma non per questo si quietano i miei dubbi sul progetto ideologico che ha permesso in Emilia Romagna di sfondare con la teoria gender nelle istituzioni pubbliche come una testa d’ariete, fino alla evidente deriva ideologica: sarà in ogni caso la Magistratura ad accertare quanto dovuto.
Una cosa è certa in questa storia: la volontà di indebolire sempre più, e possibilmente eliminare, le figure dei genitori tradizionali (un padre e una madre), ed instillare nella mente e nella psiche delle vittime (i bambini) l’idea dell’annullamento del valore del sesso biologico, in favore di una identità di genere mutevole, liquida, fluttuante, priva di regole. In poche parole temo – e lo ribadisco – che si vogliano rendere i minori facilmente addomesticabili e sessualmente colonizzabili. Magari anche per poterli “usare” meglio a fini sessuali.CONDIVIDI