(articolo pubblicato nel mese di marzo 2021 su Parole in rete)
Guerre a lungo termine? Conflitti a fuoco? Delitti di mafia? Azioni terroristiche? Finiti, estinti, sradicati, forse. Almeno, così sembra, se stiamo allo spazio mediatico che viene loro concesso dall’informazione mainstream. Solo Covid, nient’altro che Covid, per sempre Covid: nulla di diverso sembra interessare i media radiotelevisivi di grande diffusione. Il tema dominante prende spazio di giorno in giorno, e si direbbe a livello internazionale, sebbene vi siano Paesi in cui se ne parla in modo un po’ più moderato e discreto rispetto al nostro. Il risultato dell’informazione è sotto gli occhi e le orecchie di tutti, ma pochi sembrano vedere o sentire veramente e docilmente l’opinione pubblica si è rapidamente inginocchiata, senza protesta, a uno status quo per cui in alcuni paesi, e senz’altro nel nostro, si è rinunciato a un principio giuridico fondamentale riguardante lo stato, vale a dire la divisione fra poteri legislativo, giudiziario, esecutivo.
Il Covid 19 sta rappresentando oggi, con l’impatto che ha messo in campo in Italia, la fine di un’era e l’inizio di un’altra nella quale si è ingigantito il dominio del governo su quello del Parlamento: si sono infatti prodotte centinaia di atti, tra decreti, nazionali e regionali, norme, ecc. contenenti disposizioni per le misure d’emergenza, che non sono passate al vaglio del Parlamento. Il nostro Codice di protezione civile, all’articolo 24, che si occupa della Gestione delle emergenze, ammette la deliberazione di uno stato d’emergenza nazionale, le cui (gravissime) motivazioni vengono indicate all’articolo 7 dello stesso Codice: eventi calamitosi sempre di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo. Ma è la prima volta che lo stato di emergenza viene dichiarato a causa di una epidemia, e di un conseguente rischio sanitario. I vari provvedimenti, succedutisi in questo anno trascorso uno dopo l’altro, hanno visto la creazione di zone di colore diverso e l’inaugurazione di una strategia grazie alla quale la figura del presidente del Consiglio è stata ampiamente valorizzata ,anche perché questa figura governativa si è arrogato il ruolo centralizzato di decisore e di comunicatore delle decisioni. Così, nell’arco di circa un anno, molti diritti costituzionali sono stati, per così dire, sospesi. Recentemente lo stato di emergenza è stato nuovamente prorogato, ma il peso della limitazione comincia a farsi sentire con maggiore forza, a causa del prolungarsi nel tempo di molte forme di restringimento delle facoltà personali, che prevedono la chiusura di molte libertà, come quella di soggiorno, di circolazione a livello nazionale, inter-regionale, o fra comuni. Si aggiungono le coercizioni riguardanti gli spostamenti di merci e persone via aerea, ferroviaria, e così via. Fra tutte le restrizioni si è percepita particolarmente quella della libertà sociale, che ha bloccato assembramenti anche di un numero minimo di persone, le riunioni, la vita associativa, comprendente quella delle attività sportive, artistiche, di divertimento e persino quelle familiari. Dalle limitazioni sociali sono derivati i guai della scuola e della frequenza in aula, nonché il blocco delle attività scolastiche de visu, che di fatto comporta, almeno per alcuni studenti, la perdita del diritto di istruzione e cultura e l’accesso allo studio.
Io mi domando costantemente se molti freni posti dallo stato di emergenza siano proporzionali e adeguati alla situazione in atto. Molte forme di controllo mi suscitano perplessità, essendo davvero molto invasive della libertà personale, oltre a esercitare una grande compressione sull’economia, impedendo la libertà economica, la libertà al lavoro. Eppure, l’emergenza continua…
Credo sia essenziale che si applichi finalmente all’emergenza la categoria della temporalità limitata, che l’orchestrazione della paura lasci il posto al ripristino dei diritti fondamentali. È ora che la paura del virus sia scalzata dalla paura che l’emergenza si trasformi in normalità, con una sospensione prolungata, sine die, delle garanzie costituzionali; è ora che si faccia strada la paura che il fine possa giustificare i mezzi.
Il problema è tremendamente attuale, ma a quanti cittadini interessa porsi domande sulla compatibilità di misure d’eccezione che, pur essendo prese per tutelare la collettività, vanno a cozzare con la (vera) pratica della democrazia? Chi si domanda perché, per affrontare una situazione difficile, occorra sospendere le garanzie individuali e costituzionali? In quanti siamo a intravedere, nella conduzione di circa un anno delle misure d’emergenza, un certo disprezzo per la libertà della democrazia parlamentare? Certo, un Parlamento abituato a bisticciare rumorosamente, spesso assenteista, chiassoso, pettegolo e lento come il nostro è una macchina infernale per affrontare un’epidemia (stento a chiamarla pandemia). Ma non possiamo dimenticare che la nostra Costituzione non ha un articolo per regolare lo stato di eccezione, di emergenza. I padri Costituenti non commisero una dimenticanza, semmai una consapevole omissione. Non avevano dimenticato il disastro provocato dall’articolo 48 della Costituzione di Weimar che così recitava: «Il presidente può prendere le misure necessarie al ristabilimento dell’ordine e della sicurezza pubblica […] A tale scopo può sospendere in tutto o in parte l’efficacia dei diritti fondamentali…» Fu quello a permettere la nascita della dittatura nazista. Che esagerazione!, sarà pronto a commentare qualcuno. È vero, forse non siamo di fronte a una macchinazione così perfetta. Sarà l’eterna italica imperfezione a salvarci? Potremo crogiolarci ancora nella dolce promessa che il nostro proverbiale disordine confusionale possa sollevarci da più grandi pericoli? E allora sguazziamo fra decreti, ordinanze, circolari ministeriali e di enti vari, provvedimenti amministrativi, misure costrittive ma non troppo, limitazioni di libertà di vario colore, di domiciio, soggiorno, circolazione…molti dei quali contraddittori, e facciamo come siamo abituati a fare: proviamo a galleggiare nel mare delle incongruenze, speranzosi… tanto prima o poi il virus di noi non ne potrà più.