(articolo pubblicato nell’aprile 2021 su Parole in rete)
Oggi se il calcolo della Pasqua non è troppo complicato non è però neppure semplicissimo. Festa religiosa cattolica, la sua data di cadenza viene stabilita dalla Chiesa in base ad alcuni parametri fondamentali. Sappiamo infatti che non cade ogni anno nello stesso giorno del calendario. Si festeggia sempre di domenica, che viene considerato il giorno settimanale della resurrezione di Gesù. La canonizzazione del calcolo ebbe luogo presso il Concilio di Nicea nell’anno 323 d.C., quando si stabilì che cadesse nella domenica successiva alla prima luna piena dopo il 21 marzo, data dell’Equinozio di primavera: quest’anno l’abbiamo festeggiata il 4 di aprile. Siamo a settecento anni dalla morte di Dante, il cui viaggio pasquale ha segnato non solo la letteratura italiana, ma la vita degli studenti di tante generazioni. Dante non partì per le Baleari con altre orde di vacanzieri, come le foto di serrate file agli aeroporti pochi giorni fa ci hanno mostrato (con gran disdetta dei reclusi Covid ligi alle regole italiane), ma compì un itinerario che ancora oggi ci stimola con suggerimenti espliciti o impliciti, domande e risposte, sollecitazioni e risonanze. A settecento anni di distanza dalla sua creazione ancora la Commedia ha il potere di scavare nella nostra interiorità, ci stupisce, ci interroga nei nostri intimi segreti, ci fa battere il cuore, come capita nei viaggi che compiamo fisicamente, quando ci rendiamo sinceramente disponibili all’avventura, sebbene questo sia un modo di viaggiare divenuto per la maggior parte delle persone sempre più raro.
Gli studiosi tradizionali ritengono che il viaggio dantesco inizi e si compia nel 1300, quando il poeta aveva 35 anni. Nella Bibbia sono presenti molti riferimenti alla durata della vita umana (70 anni) e i 35 anni di Dante nel 1300 indicavano il “mezzo del cammin” della sua vita; del resto anche nel Convivio Dante parla del trentacinquesimo anno di vita. Inoltre all’inizio del poema, quando alle prime luci dell’alba appare la lonza, prima a palesarsi delle tre fiere, «…’l sol montava ’n sù con quelle stelle / che ch’eran con lui quando l’amor divino / mosse di prima quelle cose belle»: le stelle dunque erano con Dio al momento della creazione. Si riteneva che in quel momento (il momento della creazione) il Sole occupasse il segno zodiacale dell’Ariete, dunque si era verificato da poco l’Equinozio di Primavera.
Sappiamo che il viaggio di Dante si sviluppa in una settimana. Gli studiosi pertanto ritengono di poter stabilire l’arco di tempo in cui, nel 1300, avvenne il passaggio del poeta attraverso Inferno, Purgatorio, Paradiso. Quando noi andavamo a scuola e ci martoriavamo sul testo critico di Natalino Sapegno, ci veniva indicata come data di inizio del viaggio quella dell’8 aprile, Venerdì Santo, e come data di fine quella del 14 aprile. Una alternativa meno probabile riportava invece 25 marzo/31 marzo. Perché il 25 marzo? Era il giorno di inizio dell’anno per il Comune di Firenze, tra il secolo XIII e XIV, e nel 1300 era anche il giorno d’inizio del nuovo secolo. Inoltre era tradizionalmente considerata la data di anniversario della morte del Cristo.
Noi sappiamo che il diavolaccio Malacoda (Inf,, XXI, 112-114) raccontava che il ponte roccioso fra V e VI Bolgia era crollato per frana, in seguito al terremoto che aveva scosso la terra nell’ora della morte di Gesù (posta a mezzogiorno secondo il Vangelo di Luca – ora sesta). Malacoda dice: «Ier, più oltre cinqu’ore che quest’otta / milledugento con sessanta sei / anni compié che qui la via fu rotta»: sono trascorsi dunque 1266 anni e un giorno, meno cinque ore, da quando avvenne quella frana. Dante seguiva la tradizione di porre la morte del Cristo nell’anno 34 dell’Era Volgare (34 + 1266 = 1300). Quando Malacoda parla sono perciò le sette del mattino (del Sabato?), se stiamo alle sue parole: ma non dimentichiamo che Malacoda è menzognero, tanto che mente sullo stato degli altri ponti. Rimane il dubbio: Venerdì 8 aprile 1300 (Venerdì Santo) o Venerdì 25 marzo, quando cadeva l’anniversario “storico” della morte del Cristo? Non si sa.
Ma non basta. Altri dubbi si aggiungono, perché Dante nel suo secondo giorno di viaggio viene incitato da Virgilio a passare dalla IV alla V Bolgia: deve fare in fretta perché la luna sta tramontando. Dice: «E già iernotte fu la luna tonda: / ben ten de’ ricordar, ché non ti nocque / alcuna volta per la selva fonda». E la luna fu tonda il 5 aprile del 1300: fu quella la notte di plenilunio. Ma il 5 aprile non era venerdì. A quella luna tonda sarebbe seguita la Pasqua di Resurrezione nella prima domenica successiva, il 10 aprile. C’è un altro passo a confortare questa tesi. In Purgatorio Forese dice a Dante, ricordandogli antiche esperienze comuni: «“Di quella vita mi volse costui / che mi va innanzi, l’altrier, quando tonda / vi si mostrò la suora di colui”, / e ‘ll sol mostrai…» (Purg. XXIII, 118 – 121). La suora del sol è la luna, che “l’altro ieri” era tonda. Vero è che che la luna fu tonda, sì, il 25 marzo. Ma quello del 1301. L’ipotesi del 25 marzo 1301 è quella cui oggi do credito, ma che non tutti condividono.
Ma tant’è, dal 2020 è stato dichiarato il 25 marzo come giorno dedicato a Dante, il Dantedì. Se non è proprio quello ritenuto esatto da qualcuno per definire l’inizio del viaggio di Dante nell’aldilà, porti pazienza.
Dante astrologo è stato molto generoso nel disseminare nel suo testo numerosi indizi, ma l’interpretazione umana continua a essere qua e là imperfetta. In ogni caso il viaggio dantesco inizia tra Equinozio e Pasqua del 1300 e da 700 anni ci trascina nella vertigine dei suoi spostamenti fra i tre Regni, spingendoci alla ricerca di significati non solo letterali, secondo le indicazioni che l’Autore stesso ci dà nel Convivio, ponendo le basi interpretative del lettore per ogni scrittore: il senso letterale, quello allegorico, quello morale e l’anagogico. Ancora oggi le difficoltà linguistiche ci tengono impegnati con il senso letterale, nella fatica di comprendere la narrazione pura e semplice; il testo ci sollecita nel ricercare il significato velato della condizione dell’anima umana; in quanto contemporanei di un’epoca assai poco sensibile ai valori morali spesso tralasciamo di ricavare ammaestramenti; in quanto al significato anagogico, vale a dire a “ciò che conduce verso l’alto”, “verso ciò che solleva”, come strumento di conoscenza superiore, ci rendiamo disponibili e accoglienti verso il significato spirituale , ma non sappiamo con quali risultati.
Ci conforta il titolo che Dante diede al suo poema: Comedia. Così: puro e semplice sostantivo, senza aggiunta di aggettivi (fu Boccaccio ad aggiungere l’aggettivo “divina” nel suo Trattatello in laude di Dante). Spiegò Dante stesso che il titolo era ben motivato, in una lettera a Cangrande: «… perché, se guardiamo alla materia, essa è nel suo principio orribile e pauroso, nel fine è lieta, gradita, felice…». Nella Commedia l’esperienza del viaggio si configura con modalità fisiche e metafisiche, reali e simboliche. Nella dimensione del viaggio si delineano le contrapposizioni dei concetti di alto e basso, pensati in senso verticale non solo fisico, ma come metafora di spirituale e materiale, di valevole e irrisorio moralmente, con una concezione cosmologica in armonia con quella tolemaica. Dalla “selva oscura” Dante scende nell’oltretomba e a mano a mano che si dirige verso il basso si aggravano le pene infernali, in conformità dei peccati contro Dio. Speculare all’Inferno si erge conicamente un’isola nell’emisfero australe, e salendo le pene diventano sempre più lievi, mentre i peccatori del Purgatorio si preparano per il Paradiso. Ad esso si accede attraverso i Cieli tolemaici, fino a raggiungere l’immateriale Empireo. Il viaggio verticale di Dante è ascesi verso il divino.
Mi chiedo: che cosa ha in mente il viaggiatore odierno che nelle festività pasquali parte per mete più o meno esotiche, oltre a tagliare la corda della routine, cercare il bel tempo, e magari anche il modo di entrare in contatto con altri (cosa che attualmente, in condizioni di semi-segregazione, ci è impedita?) Mi dà l’impressione che la ricerca di Dio possa essere depennata dal suo pacchetto all-inclusive. Ma da certi viaggi mordi-e-fuggi (con organizzazioni e trasporti già pronti) credo si possa escludere anche quella volontà di ricerca di se stessi che nel tempo ha caratterizzato molti viaggiatori, che hanno desiderato viaggiare per conoscersi, mettersi alla prova, staccarsi dall’abitudine, conquistare autonomia. Nel viaggio molti uomini hanno cercato, attraverso il cambiamento, la ristrutturazione di se stessi, la vivificazione delle proprie energie più profonde. Ma affinché questo accada occorre che il viaggio sia intriso di emozioni non solo paesaggistiche, ma anche umane : se non cambia il vissuto emotivo, che viaggio è? Dove sta l’arricchimento, lo sviluppo di una nuova coscienza? Mi resta difficile considerare queste forme di turismi di massa come dei “veri” viaggi. Non escludo che talvolta possano essere delle forme secolarizzate e imbastardite degli antichi pellegrinaggi, ormai privi di sacralità, ma penso che per molti l’importante sia arrivare sul luogo di “consumo” della vacanza e non la vera pratica del viaggio come spostamento.
Dante pone nell’Inferno il più grande viaggiatore del passato, Ulisse, perché si è lasciato tentare dal desiderio di viaggiare per conoscere , senza che il desiderio fosse supportato dal sostegno morale, ma solo dalla volontà di conoscenza. Dove metterebbe certi turisti?