(articolo pubblicato nel luglio 2021 su Parole in rete)
Gli imperatori venivano consacrati tali per mezzo di una cerimonia sacra in cui la sacralità era rappresentata dall’oggetto della corona. Questa parola , corona, è la parola che più abbiamo ascoltato negli ultimi due anni in un tutt’uno con quell’altra antipatica parola, virus, cui è stata permanentemente e insistentemente associata.
Sì, lo sappiamo che il coronavirus si chiama così perché al microscopio elettronico ha la forma dell’oggetto regale, con i suoi numerosi virioni infettivi che si protendono come punte di una bella corona. Sono punte pericolose, con le quali il virus riesce ad attaccarsi alle cellule dell’organismo che ha scelto di infettare nei suoi diversi apparati, respiratorio, gastrointestinale… Con le sue punte regali il corona si è attaccato alla nostra società e l’ha profondamente infettata, lasciando strascichi veramente long, costringendoci a una convalescenza che sembra non avere termine e probabilmente non avrà davvero termine.
Mi pare lecito avere qualche dubbio, malgrado le nostre elementari cognizioni scientifiche, su eventuali intenzioni di utilizzare una parola e un simbolo tanto potente, la corona, per rendere altrettanto potente la malattia che ne porta il nome. La realtà materiale, in questo caso rappresentata dalla malattia dalle caratteristiche di per sé oscure e profane, si riveste così di santità, di sacralità. Noi sappiamo che niente ha valore in sé: esso dipende dal giudizio che a una determinata cosa viene dato dalla molteplicità degli individui o da singoli individui. Si può attribuire grande valore a qualcosa che si desidera attrarre o allontanare da sé: in ogni caso quella specifica cosa acquisirà un certo valore di mercificazione. Più quella cosa sarà investita di potere, più varrà sul piano sociale e nella gestione della compravendita o del baratto. L’oggetto potrà rivestire un interesse positivo o negativo, avremo con quella cosa una relazione positiva o negativa, e ci adopereremo di conseguenza nello sforzo per averla o allontanarla da noi, a seconda del valore che percepiremo. Quanto siamo disposti a barattare per allontanare il corona, o la paura che ne abbiamo?
Ci hanno pensato i mezzi di comunicazione ufficiali, i mainstream, ad alimentare in noi una percezione più che importante intorno alla regale epidemia. Finalizzata alla realizzazione del Grande Reset economico, finanziario e sociale di cui i gruppi di potere non fanno alcun mistero (basta leggerne i documenti), il corona ha agito scatenando la paura. Ma diciamo meglio, lo storytelling del corona, cioè la la sua narrazione, ha agito scatenando la paura: una narrazione infarcita di terrore, condita di numeri apocalittici, martellata a più non posso, inframmezzata da continue affermazioni del tipo “nulla sarà più come prima”, basata sullo sfruttamento di emozioni negative, subdolamente usata per creare sensi di colpa.
È grazie alla paura che abbiamo accettato condizioni come il lockdown (leggi confinamento), il distanziamento sociale (leggi isolamento), il coprifuoco (che non hanno nemmeno cercato di addolcire con l’inglese).
Come si dice in inglese scornati?