Tira ad apparire simpatico, cura il suo look – manco a dirlo – giovanile, indossa occhiali con una lente quadrata e una rotonda, come se l’aspetto sbarazzino potesse contribuire a sdrammatizzare i contenuti dei suoi discorsi. Le spara grosse. Oserei dire che sia stato messo lì al fine di spararle grosse: l’ennesimo sacerdote della nuova religione transumanista e finalizzata al grande reset.
Ricordiamoci come funzionano le finestre di Overton nel processo di manipolazione delle masse, operato con meccanismi di ingegneria sociale, in cui la progressione porta alla completa accettazione e alla diffusione, in precedenza rifiutata dalle masse, di una certa idea. Il primo passaggio della progressione è rappresentato dal primo getto di parole (apparentemente sconsiderato) contenenti affermazioni in contrasto con l’opinione comune su un determinato argomento: parole che esprimono l’impensabile. Il secondo passo, immediatamente successivo, è quello che noi stiamo vivendo in questi giorni, in cui dibattiamo dellaimpensabilità, dell’inimmaginabile. Nel tempo sappiamo che la proposta assumerà toni ragionevoli, raccoglierà consensi, probabilmente ci faranno canzoni rap, e infine diventerà legale.
Che cosa, dunque, ci turba? Che cosa ha affermato di tanto sconvolgente il simpatico occhialuto di Yale, Yusuke Narita, docente di economia di origine nipponica, che in precedenza aveva già parlato di eutanasia per gli anziani malati «con la possibilità», diceva lui «di renderla obbligatoria in futuro». Nel febbraio 2023 è tornato sull’argomento, modificando leggermente la sua proposta di soluzione finale, ammorbidendola, e nominando, in luogo dell’eutanasia (forzata) la parola suicidio. ‘Sta volta ha modificato il tono trasformandolo in un sentito invito, circoscrivendolo, per ora, al suo Paese di origine, il Giappone.
I vecchi, si sa, gravano sul debito pubblico, si ammalano molto più facilmente dei giovani, il mantenimento delle cure e dell’assistenza loro dedicate pesano, gli individui anziani non partecipano più alla vita produttiva, esercitano diritti senza rispondere ad altrettanti doveri.
Così, al pari degli antichi Samurai, i vecchi vengono invitati a sacrificarsi per il loro Paese, rinunciando di spontanea volontà a una vita poco attiva. Per il bene della comunità, sono spronati a fare seppuku, forma di suicidio rituale che i Samurai mettevano in atto in caso di grande disonore. Qui, tuttavia, il suicidio non sarebbe prerogativa di una casta privilegiata di guerrieri, ma aperta a qualunque cittadino amante della propria patria. Il suicidio rituale, secondo l’ardito economista trentasettenne, che una vaga imitazione della figura di John Lennon non rende meno pericoloso, potrebbe «divenire obbligatorio in futuro per consentire alle giovani generazioni di farsi strada»: gli anziani sarebbero colpevoli di non mollare le loro posizioni in campo professionale e sociale, dove occupano posizioni strategiche che rubano ai giovani. A causa del numero elevato di anziani si sarebbe scatenato nella realtà in Giappone un certo odio verso i vecchi e verso un’organizzazione gerontocratica del Paese: una persona su quattro, infatti, avrebbe (orrore! orrore!) più di sessantacinque anni e gli anziani costituirebbero il 30% della popolazione.
C’è un film del 2022, presentato a Torino, intitolato Plan 75, in cui il Giappone nella fiction ha già risolto i problemi dell’invecchiamento della popolazione e la sproporzione fra giovani e vecchi. È stato inventato il programma Plan 75, che prevede l’offerta gratuita dell’eutanasia. La situazione presentata nel film è dispotica almeno quanto quella reale, dove sembra farsi avanti, giorno dopo giorno, una politica sociale del tutto disumana. Il regista del film, Chie Hayakawa, anch’egli giapponese, ha dichiarato in una intervista: «C’è un profondo sentimento di odio tra i giovani verso gli anziani nella società giapponese, perché pensano di dover pagare per loro e non avranno nulla in cambio».
Preoccupa la risonanza di tematiche tra cinema e realtà: del resto, il compito dell’arte non è quello di saper cogliere e prefigurare in anticipo certe realtà, prima che si realizzino?
La preoccupazione che il transumanesimo sia antiumano, che anziché rispettare e liberare l’umanità abbia come obiettivo quello di perfezionare la sottomissione dell’umanità, rimane motivo di apprensione verso un modello sempre più dispotico.
Il transumanesimo aborrisce la vecchiaia, si rifiuta di considerarla come una parte importante della vita, il suo obiettivo è sconfiggerla, allontanandola dall’essere umano, fino alla rinuncia della vita stessa (almeno, di quella degli altri), pur di non accettarla nel panorama dell’esistenza. Non volendo assegnare alla vecchiaia un valore positivo, che invece possedeva sia nella storia dei Greci che in quella dei Romani, non ne intravede l’utilità, né il valore storico e culturale che riveste nella vita del singolo né in quella della collettività.
I vecchi sono biologicamente scadenti, inadeguati ai ritmi che la tecnologia impone, lenti, inadatti ad affrontare le lotte per l’esistenza, sono ansiosi nei confronti delle esperienze nuove, psicologicamente fragili, bisognosi di supporto non solo fisico, poco adattabili a nuovi apprendimenti. I corpi e le menti dei vecchi decadono, si pongono come ostacolo nel vivere esperienze fisiche e mentali. Che ce ne facciamo di questi vecchi? si chiedono molti transumanisti.
L’idea che la vecchiaia, come diceva Cicerone, sia l’età più adatta a coltivare le attività dell’anima non li sfiora. Ci diceva anche, Cicerone, che malgrado l’implacabile assalto del tempo, l’ultima età della vita va vissuta in maniera naturale e che la morte va attesa con serenità, secondo le leggi di natura. Non nel terrore che qualcuno ci suicidi.