L’adolescente sperimenta l’immersione negli impulsi malvagi della natura umana, prova dentro di sé lo sprofondamento nel personale inferno dell’ego. Forse Dante può aiutarci a capire.
Ho una preoccupazione. Riguarda figli adolescenti di amici. Come spesso accade alla loro età indulgono volentieri in una sorta di fancazzismo che pervade molte ore della loro giornata e gli impedisce di ottenere una buona qualità di vita.
Adagiati su un divano un po’ dormicchiano, un po’ sognano a occhi aperti, un po’ sfumazzano e/o spinellano. Mi auguro moderatamente, ma quanto moderatamente non è dato sapere. Si alzano volentieri per un po’ di shopping, di sesso, un aperitivo, possibilmente alcolico. Non studiano. Malgrado letti e divani siano le loro cucce preferite, dicono di odiare la casa. E per buona misura anche i genitori. Le figlie odiano uno’ di più i le madri, i figli odiano un po’ di più i padri.
Per loro il viaggio della vita ha inizio, ma coincide con il viaggio metaforico negli stati negativi dell’essere.
Dev’essere il mio amore per Dante a suggerirmi che il percorso nei gironi del loro essere avrà un andamento simile a quello percorso dal viaggiatore Dante, o meglio che il loro viaggio personale nelle difficoltà e nelle negatività dell’esistenza potrà avere un andamento analogo a quello dei gironi dell’Inferno. Mi sento di affermare che gli adolescenti soffrano come gli ospiti del regno d’oltretomba e si introducono, si direbbe volontariamente , a quelle sofferenze autoprocurate che Dante ci ha così ben descritto nella prima parte del suo poema: l’adolescente apre le porte alla fase autodeterminata della vita, ma introduce se stesso all’autodeterminazione della sofferenza .
Ricorderete il Vestibolo dell’Inferno, dove risuonano i lamenti degli Ignavi: i peccatori di ignavia sono «coloro che vissero sanza infamia e sanza lodo», che vivono, diremmo noi, in modo opaco, grigio, senza impegnarsi nelle proprie azioni, incapaci di imprimere la propria impronta sia nella storia personale sia in quella collettiva, coloro che si lasciano vivere da una vuota vita sciupando le proprie facoltà, coloro che non sanno scegliere mai. Per questo la legge del contrappasso li induce nel Poema a inseguire una banderuola (un’insegna, dice Dante), stimolati da mosconi e vespe.
Come i peccatori degli Inferi danteschi i nostri adolescenti si adagiano in una condizione di blocco dell’energia, e impauriti dalla loro stessa vulnerabilità rinunciano all’azione, spesso accompagnati da un diffuso e costante senso di fatica. La condizione di ignavia li distacca dalla realtà, anzi, lo stato di disconnessione costituisce esso stesso una condizione di trance, nella quale i ragazzi possono dimenticare i pungolamenti che giungono dall’esterno, in una sorta di oblio.
E infatti molte famiglie sperimentano quella speciale inutilità del richiamo, delle parole, delle richieste, delle preghiere del mondo adulto, che non penetrano, non riescono a penetrare nella bolla dell’ignavia. Così la preziosa vita di questi ragazzi si sciupa, si dipana in modo insignificante, si depriva di scopo: i talenti tacciono, sviliti dal tedio. Talvolta l’ignavia che esprimono come indifferenza alla vita, è scatenata da altra indifferenza: quella dei genitori, presi dai loro problemi e concentrati su se stessi. I ragazzi sono, sì, adolescenti, ma ancora un po’ bambini, desiderosi di attenzione, di una dose aggiuntiva di accudimento, di una dimostrazione di affetto incondizionato, di approvazione: spesso delusi da una sostanziale indifferenza dell’adulto, impegnato a sua volta a sopravvivere, a sua volta incapace – è possibile – di superare la propria ignavia, la propria incapacità di affrontare il campo delle emozioni che gli impedisce di aprire il cuore.
Gli ignavi si ripresenteranno ancora nel Poema in Purgatorio come pigri, che mantengono, persino dopo la morte, l’atteggiamento degli infingardi (come il personaggio di Belacqua, di cui Croce diceva «È la voce della pigrizia»): alcuni continueranno a mostrare il tipico modo negligente che ebbero in vita, altri mostreranno comportamenti di correzione, sollecitandosi e camminando velocememente.
È un passaggio successivo dell’adolescente quello che mi preoccupa di più, quello in cui sceglie un’ulteriore via di fuga, quella legata a qualche percorso di dipendenza. Dal mangiare troppo o bere più del dovuto, gonfiare troppo i muscoli, fumare e/o spinellare tanto da far diventare il fumo un vizio, far sesso in modo anaffettivo e ripetitivo, spendere troppo in stupidaggini, assaporare smodatamente i giochi fino ad arrivare (capita) al gioco d’azzardo, e indulgere nel consumo di pornografia.
Nell’Inferno di Dante «la concupiscenza, amore tumultuoso di falso bene» dice Valli in “Lo schema segreto del Poema Sacro”,«s’impaluda nell’accidia, mancato amore al vero bene”. Concupiscenza e accidia si rivelano come due effetti del medesimo disordine.
So che molti genitori non riconosceranno i propri figli adolescenti in questo quadro di pericolosità che considerano esagerato, e insieme a loro mi auguro che abbiano ragione. Eppure l’ingordigia conduce a ossessioni, magari piccole inizialmente, ma pericolose per quel bisogno di appagamento che portano con sé.
Siamo nel girone dei «golosi», di coloro che sono tormentati dalla cupidigia, nel terzo cerchio, dove i golosi giacciono supini nel fango, sotto una pioggia di grandine, di acqua sporca e di neve: «Io sono al terzo cerchio, della piova / etterna, maladetta, fredda e greve; / regola e qualità mai non l’è nova. / Grandine grossa, acqua tinta e neve / per l’aere tenebroso si riversa; / pute la terra che questo riceve».
Dante avverte: l’ossessione, l’indulgere nelle forme diverse della dipendenza, collegata alla «golosità», all’ingordigia (di tante sostanze, esperienze, emozioni, non solo di cibo) conduce a vivere, per così dire, di escrementi: chi fa cacca della propria vita è costretto dalla legge di contrappasso a vivere nella cacca, perché ha sprecato la propria esistenza. Eppure, come spiegarlo in modo convincente ai nostri ragazzi?
Poi Dante prosegue il suo viaggio fra le anime degli avari e dei prodighi, due facce di una stessa medaglia, di uno stesso peccato: il «mal dare e mal tener». Negli avari e nei prodighi distingue due aspetti contrari e complementari dello stesso male, che percorre continuamente quel segmento fra desiderio di avere sempre di più e gretto attaccamento a quanto già posseduto. Già nel Convivio Dante aveva affermato che ogni virtù ha due nemici o vizi, uno per difetto, l’altro per eccesso.
Come in vita i prodighi e gli avari del terzo cerchio si affaticarono appresso al denaro, al possesso di beni materiali, così ora sono costretti ad affaticarsi spingendo pesanti massi, simbolo scelto a rappresentare i beni materiali stessi. Assai numerosi, sono divisi in due schiere che camminano in direzione contraria l’una all’altra; cozzando fra loro si rimproverano, urlando la colpa degli altri: «Perché tieni?», vale a dire “perché sei avaro?», e gli altri: «Perché burli?», vale a dire “perché getti via? perché sprechi?”
Se gli adolescenti raramente sembrano mostrare la propensione all’avarizia (tuttavia ci sono anche quelli) per lo più desiderano raggiungere il possedimento di beni materiali che in apparenza hanno il potere di diminuire la loro vulnerabilità, e consentono di raggiungere in qualche modo il soddisfacimento di un bisogno fondamentale: quello di essere socialmente approvati. Così troviamo adolescenti che sperimenteranno la sofferenza del desidero di beni materiali, cui tuttavia seguiranno frustrazioni in diverse forme. Identificare con il possesso del denaro e dei beni il possesso della propria affermazione e della propria sicurezza non li porterà a raggiungere la felicità.
Molti ragazzi arriveranno alla consapevolezza del dolore che si stanno autoprocurando e all’affacciarsi alla vita adulta sapranno porre rimedio. Inizieranno così il loro personale pellegrinaggio nel Purgatorio. Ci auguriamo che siano in grado di proseguire.
Ma alcuni sceglieranno ancora di continuare nella vita adulta sperimentando, uno dopo l’altro, molti gironi dell’Inferno.