Le parole hanno un peso, non solo per noi di Parole in rete. La Bibbia suggerisce che la gente stolta non abbia neppure un nome (Giobbe 30, 8), che dare il nome a una città equivalga a dominarla (Samuele II, 12, 28), ma anche che le molte parole aumentano la delusione (Ecclesiaste, 6, 11).In Isaia (40, 26), si dice che Dio, creatore di tutti gli astri li abbia chiamati ad uno ad uno con il loro nome. In Genesi, nel racconto riguardante la creazione, Adamo riceve da Dio la facoltà di dare il nome agli animali, anzi Dio conduce gli animali da lui creati al cospetto di Adamo«per vedere con quale nome li avrebbe chiamati». E si aggiunge:«Adamo dunque dette il nome ad ogni animale domestico, a tutti gli uccelli del cielo e ad ogni animale della campagna». Così viene assegnata all’uomo la facoltà di elaborare il linguaggio e, attraverso l’atto di nominare, viene dato all’uomo il dominio sul mondo animale. Forse abbiamo approfittato un po’ troppo della nostra facoltà linguistica?
L’Occidente ha sempre avuto una grande fiducia nella parola: il logos veniva considerato nella civiltà greca lo strumento principe della conoscenza, come è manifesto nella forma dialogica scelta da Platone.
Oggi si vive un’epoca in cui impera nell’ideologia e nella prassi la political correctness, che fa del conformismo linguistico un obiettivo: non è importante dire con chiarezza ciò che si pensa, ma badare alla forma. Così si attribuiscono a vecchi nomi significati nuovi o si sostituiscono con nuove espressioni edulcorate e perifrasi melense vecchie locuzioni, in modo da non ferire o intimidire gruppi sociali, classi o categorie di individui aventi caratteristiche minoritarie: in realtà l’obiettivo non è il miglioramento educativo ma il raffreddamento della lingua, che in tal modo si priva di suggestioni emotive, politiche e sociali. Così, ad esempio disabile si preferisce a invalido, l’handicappato suona come diversamente abile o portatore di handicap, il sordo e ilcieco si promuoveranno nella forma (che a me non suona meno violenta) rispettivamente di non udente enon vedente. In ambito lavorativo lo spazzino è promosso come operatore ecologico, al pari del bidello, ora operatore scolastico. Per fortuna sono spariti tutti i padroni, che ora si correggono nella forma assai più neutrale di imprenditori. Mi chiedo se i barboni, o senza tetto, si avvantaggino per mezzo della political correctness o se si avvantaggerebbero di più dall’averlo, un tetto. E come la penserà una persona grassa, si sentirà meglio sentendosi definire sovrappeso, cambierà davvero qualcosa per lei? Francamente si chiedo se genitore 1 e genitore 2 siano contenti di essere chiamati così, certamente però sono molto infastiditi tutti coloro (la maggioranza) che pensano che la genitorialità sia un fatto biologico, segnato dall’appartenenza a un sesso (in tutto due sessi, per essere più precisi). E l’immigrato illegale si sentirà sollevato sentendosi chiamare irregolare? Nella political correctness non esistono più i disonesti… poverini, sono eticamente disorientati. Stupidi? Ma per carità! Matti, idioti… ma che dite, mentalmente disturbati. E sia chiaro che non esistono più omosessuali, solo gay; e i pervertiti si sono trasformati tutti in sessualmente disfunzionali.
Se in Italia non siamo ancora arrivati a rinunciare agli auguri natalizi (un semplice Buon Natale sembra essere divenuto proibitivo nei Paesi di lingua anglosassone) né a festeggiare le vacanze di Natale, costretti a chiamarle Winter Festival, ci siamo tuttavia impastoiati in altre forme di cretinismo, rinunciando, qua e là, agli auguri natalizi nelle scuole, di solito accompagnati da regali e scambi di dolcetti e festicciole con famiglie «per non offendere la sensibilità degli islamici».
Insomma, dilaga l’ipocrisia, nel tentativo di rinunciare a termini scomodi: da questo punto alla vera e propria censura il passo è breve, se ad avvalersene è il potere, che impone la rinuncia a parole chiare e comprensibili in favore di mollezze semantiche.
Nella melassa sguazzano alcuni elementi, come l’esaltazione della multiculturalità e dell’inclusività (guai a usare parole che celebrino la cultura occidentale e i suoi valori, in prima linea quelli religiosi, o la meritocrazia); predomina l’individualismo e l’estetismo con grande attenzione alla pura fisicità (guai a usale parole che esaltino il senso del dovere o la priorità di valori comunitari o sociali); emerge con forza un certo nazi-femminismo (guai a esaltare concetti pericolosi come quello della virilità, visto che le femministe estreme si reputano superiori al maschio); sulla superficie dello sciroppo zuccheroso flotta in piena evidenza l’ecologismo, declinato in tutte le sfaccettature coloristiche- meglio se green ( guai anche solo a pensare che il lavoro della natura possa contare di più di quello, seppur distruttivo, degli umani); persino il materialismo si edulcora (ma guai a usare parole che accennino a valori spirituali).
La correttezza politica è sostanzialmente un’arma a doppio taglio: ammesso che le categorie minoritarie, più fragili, siano esse tali per razza, genere o orientamento sessuale, cultura, avendo vissuto esperienze di svantaggio e di discriminazione, non si sentano ingabbiate dalle sbarre di nuovi stereotipi e dalle nuove parole predisposte per loro (non scelte da loro), è però evidente che le categorie maggioritarie sentono che la loro espressione linguistica è impedita da una serie di regole e di stereotipi assurdi che inducono comportamenti comunicativi limitati e limitanti.
A parte le ridicolaggini di cui ho portato sopra qualche esempio, la P.C. è molto di più: sotto il manto dell’ipocrisia della buona educazione si nascondono strumenti per stravolgere il significato della realtà; intanto com’è ovvio non riesce a cambiare nella sostanza la realtà delle cose: il matto continua a dare di matto e il barbone continuerà a dormire sulla panchina del giardino pubblico, ma la P.C.è in grado quando vuole di alterare la percezione della realtà, attribuendo a parole significati diversi da quelli che storicamente hanno rivestito, fino a offrire il senso opposto da quello originario. In molti miei articoli precedenti ho portato esempi; ora ne porterò uno per tutti: durante il coprifuoco Covid abbiamo costantemente ascoltato l’espressione distanziamento sociale, a indicare la separazione delle persone, persino dai familiari e dagli anziani bisognosi di assistenza; tuttavia il modo con cui l’espressione veniva usata, con valenza del tutto positiva, portava il messaggio che il distanziamento sociale era cosa buona (riprovevole comportarsi in modo opposto) fino ad assumere la valenza di protezione di sé e del proprio corpo dagli altri e quindi dalla malattia. Ma quanti si sono resi consapevoli del ribaltamento del significato?
In buona sostanza, attraverso la manipolazione operata con la parola la correttezza politica induce a variare la percezione della realtà, variando la percezione di espressioni linguistiche, fino a rivoltarne il significato o comunque trasformandolo profondamente: è uno strumento di potere.
A tale proposito ricorro a un riferimento letterario di un autore considerato adatto per bambini, che secondo me non lo è per niente e la cui opera trabocca di profondissimi significati nascosti. Lewis Carroll in Attraverso lo specchio racconta l’incontro di Alice con Humpty Dumpty in forma di uovo che, oltre a illustrarle il pregio dei regali di non -compleanno (364 possibilità contro una sola), afferma: «Quando io uso una parola, quella significa ciò che io voglio che significhi, né più, né meno». Alice dubita che si possa attribuire alle parole significati così diversi, come lui fa. Lui replica spiegando: «La questione è chi comanda, ecco tutto» E aggiunge: « Quando costringo una parola a fare tutto quel lavoro, le pago sempre lo straordinario… eh, dovresti vedere al sabato sera, come mi si affollano tutte intorno… per avere la paga, capisci?». Interessante metonimia, in cui l’azione del prodotto (la parola) sostituisce quella del produttore… chissà se conoscono Alice molti personaggi del mainstream!
La manipolazione viene attuata con l’aiuto delle nuove scienze, come la PNL (Programmazione Neurolinguistica) e della Psicologia Sociale. Come disse Bertrand Russel all’inizio del secolo scorso: «Con questi strumenti noi riusciremo a far credere che la neve sia nera… alla popolazione non sarà permesso sapere come si siano generate le sue sue convinzioni …ogni governo sarà in grado di controllare i suoi soggetti in modo sicuro senza bisogno di eserciti o di poliziotti (The Impact of Science on Society).
Strettamente legato al tema della correttezza politica è quello della cancel culture dominante nei Paesi di lingua inglese. È la cultura della cancellazione o dell’annullamento e le vittime designate qui non sono le parole o le espressioni linguistiche: la moderna forma di ostracismo colpisce personaggi, gruppi, autori, libri, che vengono messi al bando in modo bieco e ignorante. Avreste mai pensato che, ad esempio, a essere presi di mira potessero essere i classici? È proprio così: opere e mondo classico sono messi all’angolo, anzi si vorrebbe metterli nel definitivo dimenticatoio. Prendiamo Omero, che noi abbiamo amato, rispettato e ritenuto pietra miliare della nostra cultura. E invece… nel Massachusetts Omero è stato giudicato «capostipite della mascolinità» e la Lawrence High School ha dichiarato, tramite un proprio docente, di essere orgogliosa di aver rimosso l’Odissea dal curriculum scolastico. La civiltà greca, nel suo complesso, risulta essere la massima rappresentante di quel pensiero, quell’arte, quella cultura divenuta odiosa ad alcune parti di popolazione, ma evidentemente non solo a quella; si aggiunge a suo sfavore che i Greci praticavano la schiavitù.
Un altro libro all’indice è La lettera scarlatta di Hawthorne, testo accusato di misoginia. Ma ormai sono numerosissimi gli autori e i libri sotto accusa, perché non rispondono a canoni odierni e esprimono valori razziali o di genere tali da richiedere la damnatio memoriae. Sono state prese di mira anche molte statue, ree per lo più di essere state scolpite in marmo bianco e dunque «esprimenti forme e atteggiamenti razzisti e anti-neri». Ciò ad opera del Black Live Matter.
Anche le favole turbano gli animi dei cancellatori e si disquisisce su principi azzurri e baci. Il dubbio che Biancaneve non fosse consenziente al bacio del Principe li dilania. Per fortuna lui ha preso una decisione da vero maschio di una volta, altrimenti la poveretta avrebbe continuato a dormire altri cento anni. Inutile dire che loro non sono d’accordo e io dopo un simile commento sono in serio pericolo.
La ghigliottina della cultura della cancellazione (e chiamala cultura!) è scesa anche su Peter Pan, Gli Aristogatti e Dumbo della Disney. È stata la stessa Disney a vietarli ai minori di sette anni «perché veicolano stereotipi sbagliati e contengono messaggi dannosi». In Gran Bretagna i film sono stati rimossi dalle piattaforme dedicate ai bambini e riservati (udite, udite) a un pubblico adulto. Peter Pan è accusato di chiamare i nativi americani pellirosse; Gli Aristogatti di presentare il gatto Shun Gon con gli occhi a mandorla (caricatura razzista dei popoli asiatici!); il tenero Dumbo è denigrato per la canzone dei corvi, omaggio a menestrelli razzisti (schiavitù afro-americana ridicolizzata).
Anche Jessica Rabbit è all’indice: troppo fatale, troppo sexy: e chi lo dice adesso ai miei figli quarantenni che a Natale non potremo più riguardare tutti insieme, come in un rito, Chi ha ha incastrato Roger Rabbit? Che non ci tolgano Bud Spender e Terence Hill, o che ne sarà dell’annuale celebrazione della loro/nostra infanzia?
Questi sono solo alcuni esempi, ma negli Usa la situazione sta precipitando nel cretinismo e in modo grave coinvolge musica, arte, letteratura, poesia, teatro, spettacolo, in modo vergognoso. Come ben si capisce tutta questa acrimonia è innanzi tutto frutto dell’ignoranza: è un atteggiamento dittatoriale imposto da minoranze e fatto proprio da tutti, purché ignoranti, che nega discussione e confronto e boicotta con prepotenza, annientando pericolosamente la storia, il passato. È ovvio che chiunque e qualunque cosa viene insistentemente decontestualizzata, attualizzata, considerata con la lente dei canoni di oggi. Il tutto negli Stati Uniti avviene con molto eccesso e con un’atmosfera da caccia alle streghe: la cancel culture non è manifestazione del pensiero progressista, come credono i protagonisti, ma vero soffocamento della libertà, è un comportamento reazionario da parte di novelli inquisitori.
Non c’è troppo da ridere. Quale nota di speranza per il futuro potremmo introdurre? Non può venirci in aiuto nemmeno Rossella O’ Hara con il suo positivo mantra «Dopotutto, domani è un altro giorno»: è in castigo anche lei, uccisa con Via col vento dalla cancel culture.