Mio caro Adamo

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In occasione dell’8 marzo, Festa della Donna, si svolgerà la performance della poetessa Grazia Valente Mio caro Adamo, poesie e collage al femminile. L’autrice  presenterà la  silloge Ambaradonna, edita da Achille e la Tartaruga, 2015, con l’introduzione di Angela Donna. Martedì 8 marzo alle 17,30 alla Biblioteca Geisser, corso Casale 5, Torino (Parco Michelotti).

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POLITIKABARETT. I NUOVI GOBBI DAL 1970 AL 1984

mostra 2Venerdì 4 marzo alle 18:00 Inaugurazione mostra POLITIKABARETT – I Nuovi Gobbi dal 1970 al 1984, Parco Le Serre di Grugliasco

Ecco la presentazione dell’istituto per i Beni Marionettistici e il Teatro Popolare, Regione Piemonte – Città di Grugliasco :

 POLITIKABARETT dal Collettivo Teatrale a “I Nuovi Gobbi” (1970 -1984) mostra a cura di Giovanni Moretti, a Villa Boriglione-Museo Gianduja dal 4 al 13 marzo.
Perché organizzare una mostra sull’attività Continua a leggere

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Iniziative di amici

1 marzo

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Amico poeta Franco Dionigi

Poesia in Progress Torino 2016
Ricordo dell’amico poeta Franco Dionigi
Giovedì 25 Febbraio 2016 , ore 16.45
presso la Libreria Claudiana di via Principe Tommaso, 1

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BINARI inVERSI – Genova

21 febbraio

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Alessandro Novellini

19 febbraio

Poesia in Progress                                              Torino                                                    2016

Venerdì 19 febbraio  ore 17.00        

presso la Cooperativa di Consumo e Mutua Assistenza Borgo Po e Decoratori

(“gli Imbianchini”), via Lanfranchi, 28

Presentazione del libro di Alessandro Novellini,  Non troverai altro luogo

Intervento del giornalista Renato Scagliola.  Letture di Domenico Diaferia e di Sergio Notario

 

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La nostra CASA

Ci vogliono 12 zeri per scrivere un miliardo (o bilione, in lingua inglese); se noi quella cifra la moltiplichiamo per tre e mezzo, otteniamo pressapoco il tempo in cui è stata popolata la Terra. Bene, in questo tempo sono sparite il 95% delle specie viventi. Ora si calcola che negli anni futuri ne spariranno molte di più.
Eppure, siamo davvero preoccupati per le dinamiche ambientali? Continua a leggere

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Bellezza e condivisione

 

Yann Arthus-Bertrand è un ambientalista francese, che usa giornalismo e fotografia per comunicare le sue idee di ambientalista. Davanti ai suoi video e alle sue fotografie si ha l’impressione non solo di cogliere un messaggio Continua a leggere

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Intervista di Grazia Valente a Letizia Gariglio

Grazia Valente ha intervistato Letizia Gariglio, autrice della raccolta di poesie Amaritudine: Continua a leggere

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RECENSIONE di AMARITUDINE

Recensione
di GRAZIA VALENTE

della raccolta di poesie Amaritudine di Letizia Gariglio (Amaritudine. Poesie d’amore e disamore di Letizia Gariglio. Nuova Ipsa Editore, Palermo. In tutte le librerie dal 12 maggio 2015).
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Amaritudine: una parola insolita, dal suono dolce-amaro, sinonimo di amarezza. Se l’autrice lo ha scelto come titolo della propria raccolta poetica, accompagnato, nel sottotitolo, dal binomio amore/disamore, la ragione non può che essere quella di voler rappresentare, della propria vita o comunque del proprio modo di rapportarsi con essa, l’aspetto meno felice, meno appagante. Una silloge che fotografa lucidamente una condizione di separatezza, di solitudine amorosa.
Il libro si apre con un prologo, una ouverture lirica sull’atto dello scrivere, un atto che da fisico si fa esistenziale, con il «bisogno di narrare» che l’autrice dichiara, quasi a giustificare il suo «esserci» sulla pagina. La scrittura si palesa attraverso i secoli, parte essenziale della storia stessa dell’uomo, dallo «stilo» alla tastiera. Il punto più alto lo si raggiunge là dove la «sofferenza si fa scrittura».
A proposito di amore Continua a leggere

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Due eventi in sinergia

Due eventi sinergici sabato 30 maggio a Chieri, in piazza Cavour 3, presso la Libreria Mondadori, a Palazzo Balbiano, alle ore 17:

INAUGURAZIONE MOSTRA DI TEGI CANFARI,

TEGUMENTO

e

PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI POESIE DI LETIZIA GARIGLIO,

AMARITUDINE

La scultrice e la scrittrice conducono l’evento insieme, evidenziando  tracce e temi comuni nelle loro opere.

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Presentazione a Chieri

Sabato 30 maggio alle ore 17 la raccolta di poesie Amaritudine sarà presentata a Chieri, presso la Libreria Mondadori, in piazza Cavour 3.

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AMARITUDINE on line

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Ora la raccolta di poesie AMARITUDINE si trova anche in formato e-book in tutte le principali librerie on line.

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Presentazione e performance Amaritudine 06/05

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Hanno letto alcune poesie della raccolta Amaritudine: Milena Boico, Alberto Giovannini Luca, Roberto Gho, Antonietta Vallarella. È intervenuto il duo di danza contemporanea Blueknees, formato da Arianna Contursi e Barbara Nepote. Continua a leggere

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Pro memoria – INVITO Mercoledì 06 / 05 ore 18

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Amaritudine, raccolta di poesie
Nuova Ipsa Editore, Palermo aprile 2015

presentazione e performance

con l’autrice, Letizia Gariglio, alcuni amici e le Blueknees, duo di danza contemporanea
Biblioteca Geisser, corso Casale 5 Torino (parco Michelotti), mercoledì 6 maggio ore 18.

 

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BLUEKNEES SU AMARITUDINE

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Le BLUEKNEES Arianna Contursi e Barbara Nepote hanno creato sul tema AMARITUDINE una coreografia di danza contemporanea (12′ circa). La presenteranno mercoledì 6 maggio Continua a leggere

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Enigmi dentro e fuori di sé

Se n’è andato da poco il vagone “di Primo Levi”, che era situato in piazza Castello, a Torino, a pochi metri da Palazzo Madama dove, nella Corte Medievale, era allestita una mostra sul poliedrico intellettuale torinese: I mondi di Primo Levi. Una strenua chiarezza. Continua a leggere

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AMARITUDINE

PUBBLICATO DA “NUOVA IPSA EDITORE”, PALERMO, APRILE 2015

AMARITUDINE on line

Pubblicato il 25 Maggio 2015 da Letizia_Gariglio

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Ora la raccolta di poesie AMARITUDINE si trova anche in formato e-book in tutte le principali librerie on line.

RECENSIONE di AMARITUDINE

Pubblicato il 12 Luglio 2015 da Letizia_Gariglio

Recensione
di GRAZIA VALENTE

della raccolta di poesie Amaritudine di Letizia Gariglio (Amaritudine. Poesie d’amore e disamore di Letizia Gariglio. Nuova Ipsa Editore, Palermo. In tutte le librerie dal 12 maggio 2015).
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Amaritudine: una parola insolita, dal suono dolce-amaro, sinonimo di amarezza. Se l’autrice lo ha scelto come titolo della propria raccolta poetica, accompagnato, nel sottotitolo, dal binomio amore/disamore, la ragione non può che essere quella di voler rappresentare, della propria vita o comunque del proprio modo di rapportarsi con essa, l’aspetto meno felice, meno appagante. Una silloge che fotografa lucidamente una condizione di separatezza, di solitudine amorosa.
Il libro si apre con un prologo, una ouverture lirica sull’atto dello scrivere, un atto che da fisico si fa esistenziale, con il «bisogno di narrare» che l’autrice dichiara, quasi a giustificare il suo «esserci» sulla pagina. La scrittura si palesa attraverso i secoli, parte essenziale della storia stessa dell’uomo, dallo «stilo» alla tastiera. Il punto più alto lo si raggiunge là dove la «sofferenza si fa scrittura».
A proposito di amore, scrive Ovidio nella sua Ars amatoria: «Quanto più amore mi trafisse, quanto più crudelmente m’arse, su di lui tanto più grande prenderò vendetta». E la vendetta di un poeta, una vendetta incruenta ma non meno efficace, si manifesta nella scrittura.
Ma ritorniamo al titolo del libro: Amaritudine. Ci piace immaginare questa parola della nostra lingua (e probabilmente il gioco linguistico è stato creato ad arte) come la fusione del verbo amare con l’aggettivo amaro, mentre il suffisso richiama altre assonanze, ad esempio quella con solitudine. Il sentimento amoroso è molto presente nella poesia dell’autrice, un amore che ha conosciuto la prova più terribile: quella del distacco. L’autrice sembra affrontare tale prova in maniera oscillante, divisa tra un sentimento intriso di rabbia, di rancore, e all’opposto un dolore che si stempera in nostalgia, quasi pacificato nel ricordo degli slanci amorosi.
Il senso di solitudine affiora in molte liriche, ad esempio quando l’autrice osserva con occhi dolorosamente partecipi coppie occasionali colte nell’affettuosità quotidiana. Ma già si intuisce che si tratta di una solitudine aperta ai cambiamenti. Nella lingua anglosassone si definisce la solitudine con due termini diversi, che non sono sinonimi: solitude e loneliness. La prima è la solitudine voluta, cercata. La seconda è quella non desiderata, subita. La solitudine dell’autrice, la loneliness, la più dolorosa, è anche quella che ci tempra, ci rafforza: «Eppure non disarmo», ci dice l’autrice in un suo verso.
Stilisticamente, la poetessa evidenzia una maturità espressiva accompagnata da una notevole raffinatezza e ricercatezza lessicale che a volte sfocia all’improvviso nell’ironia, si tempera di slanci autoironici, forse nel timore di abbandonarsi alla retorica dei sentimenti.
Quella di Letizia Gariglio è una poesia lucida, consapevole, pervasa da riflessioni filosofiche, densa di immagini e ricca di metafore, in una sapiente alternanza di toni bassi e toni alti, con picchi di realismo svelati senza infingimenti, per quel bisogno di verità connaturato al poeta, che non può fare a meno di rivelarsi fino al fondo della propria anima.
In questo libro, a nostro giudizio importante, sia per la quantità di poesie che raccoglie (112) che per la molteplicità di temi e per quegli accenti di verità cui si è già accennato, l’autrice ha manifestato il suo bisogno, a un certo momento della vita, di fare ordine.
Si rovista metaforicamente nei cassetti, si svuotano gli armadi, in una esigenza di pulizia radicale. Oggetti come persone e viceversa, alla ricerca di un senso al proprio esistere attraverso un nuovo e diverso significato da attribuire al proprio cosiddetto vissuto. E’ una sorta di inventario delle cose perdute, degli amici che non sono più (anche se coloro che ci hanno lasciato sono ancora con noi, perché «il lutto non divide»). Poi, a un certo momento, si materializzano i luoghi del nostro passato, luoghi cari alla memoria, luoghi abitati dalle persone più amate, che ritornano vive attraverso gli impossibili dialoghi dettati dal rimpianto.
Si avverte come il punto di arrivo in un ideale crocevia nel quale urge un bisogno di meditazione, di andare oltre il presente, che porta con sé una nostalgia del divino, di quel «luogo del religioso … al quale guardavano gli uomini alla ricerca della parola perduta». Un anelito verso la trascendenza come connessione contrapposta tra due piani dell’esistere, quello denso degli umori che scaturiscono dalle passioni e quello ideale, rarefatto e custodito come una reliquia.
E si intraprende un ultimo viaggio, verso un’isola, l’isola madre. «Sono venuta per rinascere … per ascoltare il suono delle mie origini». E lì, nel sito archeologico nuragico di Tamùli, tra le pietre allineate in un antico rituale, guardando l’azzurro del cielo «che non disillude», pur con la presenza inquietante del rapace che lo attraversa, si percepisce l’appartenenza a «una madre interiore primordiale». E si anela a un ritorno alle origini della nostra condizione di esseri umani, dove la potenza della vita non è, né può essere altro, che energia d’amore.

Presentazione e performance Amaritudine 06/05

Pubblicato il 9 Maggio 2015 da Letizia_Gariglio

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Hanno letto alcune poesie della raccolta Amaritudine: Milena Boico, Alberto Giovannini Luca, Roberto Gho, Antonietta Vallarella. È intervenuto il duo di danza contemporanea Blueknees, formato da Arianna Contursi e Barbara Nepote. La performance si è svolta nella Sala Incontri della Biblioteca civica A. Geisser di Torino, il 6 maggio dalle ore 18.

BLUEKNEES SU AMARITUDINE

Pubblicato il 28 Aprile 2015 da Letizia_Gariglio

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Le BLUEKNEES Arianna Contursi e Barbara Nepote hanno creato sul tema AMARITUDINE una coreografia di danza contemporanea (12′ circa). La presenteranno mercoledì 6 maggio (dalle 18) alla Biblioteca Geisser, c.so Casale, 5, Torino (Parco Michelotti), in occasione della presentazione della raccolta di poesie Amaritudine di Letizia Gariglio.

Sul loro lavoro dicono:

L’amore può essere scherzoso, leggero, eccita forme di armonia e risonanza fra le persone. Ma è facile a spezzarsi, allora i rapporti iniziano a sgretolarsi, diventano spigolosi: lo diventano anche i gesti. Gli sguardi non si cercano più, e ciascuno, nella solitudine, sentendosi spezzato, vaga alla ricerca della parte perduta: la propria anima o il proprio animo. Nel disorientamento ciascuno si chiude; anche la voce si fa lamento, nel tentativo di elevarsi verso l’Altrove. Allora il dolore si fa preghiera.
Se l’amore è cieco, il disamore non fa che accentuare questa cecità, l’ottusità di sentimenti, impedendo sguardi e parole. Non basta la vicinanza dei corpi, se le anime sono divise.
Ma esiste l’amore karmico? Forse l’anelito di ogni essere umano potrà condurre verso l’amore indissolubile? (Blueknees – Ginocchia Blu)

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Iniziativa mercoledì 25 marzo 2015

Primo Levi

Mercoledì 25 marzo 2015 alle ore 15,30
presso il Centro Incontri di Corso Belgio 91 a Torino

avrà luogo un’iniziativa intitolata

“PRIMO LEVI, SE QUESTO E’ UN POETA”

Tutti conosciamo Primo Levi come autore di “Se questo è un uomo”, meno noti i suoi interessi di scrittore eclettico e curioso verso la scienza, la fantascienza e la poesia; quest’ultimo tema verrà approfondito nella conversazione con Gianna Montanari. Letture di Letizia Gariglio.

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Miradòlo, il Castello all’imbocco della Val Chisone

La Corte internaVeduta panoramica

A S. Secondo di Pinerolo si erge il Castello di Miradòlo, in parte restaurato e i cui spazi complessivi sono in via di recupero. Continua a leggere

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Inviolabilità dell’anima, inviolabilità del corpo

Guercino, Martirio di San Sebastiano- USA, Collezione Federico Castelluccio, Courtesy Robert Simon Fine Art

Guercino, Martirio di San Sebastiano – USA, Collezione Federico Castelluccio

(Articolo pubblicato sul numero 11/2015 di InOgniDove)

Una grande mostra su un solo tema pittorico, percorso nei secoli da decine di artisti, è ospitata nel Castello di Miradolo. Vi si raccolgono poco meno di una cinquantina di capolavori, dal Rinascimento al Seicento inoltrato. Continua a leggere

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Sta fermo? O torna indietro?

sole invernale

Frutto di sincretismo culturale, le feste legate al solstizio sono il risultato di concezioni religiose e filosofiche molto diverse tra loro, tuttavia gli antichi popoli di Mesopotamia, Egitto, Siria, Arabia, Persia, Roma condividevano un dato comune: la forte dipendenza Continua a leggere

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Tempi sacri

sole fra rami

Non vi è cultura, popolo, gruppo umano che non possieda una propria concezione del tempo e in essa un’idea di fine/principio, che porti con sé una fase di rigenerazione della vita. Ovunque le cerimonie per il nuovo anno riflettono al loro interno Continua a leggere

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Liberiamo il Piemonte

Ricordate la sentenza Minotauro? L’inchiesta Minotauro, sfociata nel 2011 in circa 140 arresti, riguarda la presenza, nel territorio torinese e piemontese, di dieci articolazioni della ‘ndrangheta, Continua a leggere

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Se sono cose nostre…

(Articolo pubblicato su n. 10/2014 di InOgniDove – Piemonte; www.inognidovepiemonte.it)

Negli ultimi anni i beni confiscati alla mafia sono diventati non solo il risultato di un iter di giustizia, ma uno strumento Continua a leggere

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Se potessimo cacciarli!

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(L’articolo è stato pubblicato sul numero 10/2014  della rivista InOgniDove – Piemonte (www.inognidovepiemonte.it)

 

I cacciatori hanno di che dirsi soddisfatti; coloro che sono contro la caccia molto meno. Vediamo cosa succederà prossimamente Continua a leggere

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Insegnare italiano agli stranieri

Seminario italiano
Continuo a nutrire una certa passione per l’insegnamento, sebbene non si tratti più da molto tempo della mia attività principale; come appassionata della lingua italiana continuo a essere sensibile alle nuove proposte nel campo della formazione dei docenti nell’insegnamento dell’italiano agli stranieri (sono anch’io un’insegnante preparata a Siena Continua a leggere

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Lettura poesie

Giovedì 4 dicembre 2014, ore 17,30 presso Caffè “Le due Salette” di via Po, 14 a Torino Domenico Diafèria e Letizia Gariglio leggono le poesie di Domenico Diaferia. L’autore presenta il volume di poesie appena pubblicato da Trauben, Sole bianco. Sono trentuno le poesie del piccolo libro che Diafèria definisce “trentun pezzi facili” scritti nel 2011. Continua a leggere

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PROPOSTA PER SCUOLE PRIMARIE. Incontri su matematica vedica e laboratorio lettura

INCONTRI GRATUITI SULLA MATEMATICA VEDICA

LABORATORIO LETTURA SU VEDICHESTORIE

Sto promuovendo la diffusione del volume di racconti, per bambini tra i sette e i dodici anni, VedicheStorie. Storie di matematica vedica, di cui sono autrice. Continua a leggere

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L’ultimo ballo dell’orsa

orsa   Risale al 18 luglio 2014 la cosiddetta delibera ammazza-orsi: la delibera della giunta della Provincia Autonoma di Trento che ha introdotto la categoria dell’orso dannoso e ne ha prevista l’uccisione, come misura di prevenzione. Noi riteniamo che senza la sciagura di quella stolta delibera, non sarebbe stato così facile ordinare la cattura dell’orsa Daniza, né procedere con tanta leggerezza ad un uso non sufficientemente consapevole (visti i risultati!) dei narcotici.
L’episodio ha suscitato molto effetto, non c’è che dire, e il web è impazzito: la stragrande maggioranza ululando parole di dolore per Daniza, mentre qualche rara voce ha osato timide difese dell’operato.
Un sospetto infido e strisciante ha percorso i commenti Continua a leggere

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Nome di battaglia Nina. Intervista ad un’esponente del Movimento No Tav

L’articolo è stato pubblicato sul n. 9/2014 di InOgniDove; fa parete di un servizio intitolato STORIE DI DEMOCRAZIA NEGATA.
Sto osservando alcune immagini scattate durante una manifestazione No Tav: bambini con il loro giocattolo sotto il braccio, anziane con il loro cagnolino (violenti i i denti del pincher!), signori affaticati dalla camminata che si appoggiano al bastone (arma impropria?), famiglie al completo di genitori figli zii nonni e nipoti (vere bande armate di berrettini e sciarpette!), neoterroristi in passeggino o assestati come in trincea dentro zainetti sulle spalle di papà. Non parliamo dei nomi di battaglia… il tuo è Nina, non è vero? Continua a leggere

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La terra su cui cammina un popolo

L’articolo è comparso sul n. 9/2014 di InOgniDove (fa parte di un servizio intitolato STORIE DI DEMOCRAZIA NEGATA)

No Tav: vale a dire No alla realizzazione della linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione. Nasce da questa idea fondamentale il Movimento No-TAV fin dagli anni ’90. A non volerla, la ferrovia ad alta velocità, sono cittadini delle valli al di qua e al di là delle Alpi.
I nostri, considerati nel loro nucleo fondamentale, vivono nella valle maggiormente interessata al problema: la Val di Susa. Dei Valsusini sono le terre che il Governo ha espropriato per consentire la successiva realizzazione del progetto. Sono terre amiantifere, Continua a leggere

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11) Tutte le strade portano al lupanare

Io non capisco perché un appartenente alla corrente artistica del cubismo sia senza dubbio alcuno un cubista, ma se attribuiamo lo stesso nome comune ad una appartenente del genere femminile la si immagini in preda a contorcimenti semiacrobatici su un cubo di discoteca, naturalmente in succinte mutande. Continua a leggere

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10) Se fossero ciela e terro…

A quanto pare noi umane e umani non siamo in grado di pensare se non per metafore.
Ce lo hanno spiegato il filosofo Mark Jonhson e il linguista George Lakoff: la metafora non è solo una figura del linguaggio, ma una forma di pensiero; in quanto strumento cognitivo essa ci permette di formulare operazioni concettuali. Ben lontana dall’essere un ornamento della forma, essa è un approccio sostanziale al pensiero e all’azione; incide sull’esperienza, spesso malgrado la nostra inconsapevolezza. Anzi, più ne siamo inconsapevoli, e di conseguenza agiamo secondo automatismi, più le metafore ci imbrigliano in linee di comportamento. Continua a leggere

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9) Hilary a te!

Allora, che cosa ne facciamo di questo benedetto articolo anteposto ai cognomi femminili o a nome e cognome? Si può avere la Mazzucco o a la Cristina Campo? Ci vuole l’articolo? Non ci vuole? Ci può stare? Continua a leggere

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8) Arrivare dove?

Articolo letto dall’autrice

“Arriveremo dove gli altri non arrivano», dissero.
Ma erano trascorse alcune ore, e dei ragazzi non c’era alcuna notizia».
Qualcuno ancora chiese: Laura, Antonio e Maria sono arrivati?
Pare che Laura, Antonio e Maria non fossero proprio arrivati.
Può darsi, ma in ogni caso chi lo affermava sbagliava. Continua a leggere

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7) Marcare il territorio

Articolo letto dall’autrice:

Pare che le donne condividano il loro destino con molti altri elementi. Ci hanno spiegato i linguisti di Praga, i quali hanno elaborato la nozione di marcatezza, che quando osserviamo i due elementi opposti di un binomio, tendiamo sempre a considerare in modo asimmetrico i due opposti, dando maggior importanza a uno dei due. Se diciamo alto e basso, per esempio, consideriamo in qualche modo di più il valore alto: Continua a leggere

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6) Agrimensora K.

Articolo letto dall’autrice:

«Scusi, lei che mestiere fa?»
«Sono casalinga». «E io levatrice… io mascherina, io sartina, io bustaia…»
« E lei signore?»
«Io mondino… io ricamatore… io lavandaio». Continua a leggere

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5) Presupposti riduttivi

Articolo letto dall’autrice:

Ricordo un giochetto sotto forma di storiella che girava qualche anno fa.
“Un padre e un figlio hanno un incidente d’auto gravissimo. Il padre muore. Il figlio viene trasportato d’urgenza in ospedale a sirene spiegate. Intanto, in attesa che arrivi l’ambulanza con il ferito, in ospedale si prepara la sala operatoria. Il ragazzo sulla barella arriva. Il chirurgo è pronto, già indossa guanti e mascherina, ma quando si volta verso il ragazzo e lo vede, sbianca e: «Non posso operarlo: è mio figlio», dice con voce rotta dall’emozione”.
Come si può spiegare la cosa? Continua a leggere

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4) Oscuramento linguistico

Ci sono in giro orecchie davvero raffinate. Quando ascoltano nomi declinati al femminile vengono urtate nella loro sensibilità e si ribellano a certi stridori. I possessori delle orecchie dicono di non poter tollerare le cacofonie prodotte da obbrobri sonori come questora o prefetta e nemmeno quello di ministra. Quanto alla minestra, invece, Continua a leggere

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3) Il femminile esiste: basta usarlo

Chi è stato a cena con una rossa non si tranquillizzi. Può darsi che sua moglie non lo venga a sapere, ma ha senz’altro indirettamente contribuito, attraverso l’articolo di pettegolezzo che un giornalista ha scritto su di lui, a prolungare un uso discriminatorio della lingua. Continua a leggere

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2) Parole al femminile chiare e corrette

Articolo letto dall’autrice:

 

Ecco una breve sintesi di una serie di affermazioni colte fra annunci televisivi e radiofonici, spezzoni di articoli e, naturalmente, di pettegolezzi sulla bocca della gente: «Ministro, si sentono voci sulla sua gravidanza… possiamo farle gli auguri?» «Il Sindaco, giunta con i suoi tre figli, sta passando una vacanza…» (in sottofondo voci infantili: “mamma…, mamma…”). «Il marito dell’assessore in un discorso in Giunta ha affermato…».
Piccole bestialità cui siamo abituati, tanto da non sembrarci nemmeno più delle incongruenze di tipo linguistico. Continua a leggere

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1) Dissimmetrie pericolose

Articolo letto dall’autrice:

Dissimmetrie pericolose Sembra impossibile, ma la formazione del genere femminile in grammatica, in italiano come in svariate altre lingue, può non essere rispettoso del genere umano femminile. Da circa venticinque anni, vale a dire da quando si affacciarono alla riflessione nella lingua italiana le prime osservazioni circostanziate su questo punto, non si è fatta molta strada nel nostro paese in favore di un uso non sessista della lingua.
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NOI E GLI ANIMALI

Il servizio è stato pubblicato sul n. 8/2014 della rivista  InOgniDove. Contiene tre articoli:

Il rapporto fra l’uomo e gli animali

Antiche scritture e nuove idee sugli animali

Non tutte le colpe sono delle teorie

 

Il rapporto  fra l’uomo e gli animali

Siamo abituati a considerare lo sfruttamento dell’ambiente da parte dell’uomo come un dato di fatto, talmente ovvio da apparire indiscutibile. Anzi, se ci soffermiamo a pensarci, ci viene subito in mente che l’uomo, in fondo, è del tutto simile a ogni altro essere di qualunque altra specie e ci sentiamo accomunati da un destino comune con gli altri esseri viventi. Ciascun elemento del creato, ciascuna presenza, infatti, vive grazie allo sfruttamento di altri elementi: il pidocchio approfitta della rosa, il lupo dell’agnello, lo squalo si nutre del pesce, il polpo mangia il granchio che mangia l’alga, ma la lontra mangia il granchio che mangia l’alga che mangia il plancton animale che mangia quello vegetale che si sviluppa con la luce… Insomma, ad una prima, semplice riflessione salta subito all’evidenza che la vita, ogni forma di vita, si realizza a spese di qualche altra forma di vita. La vita, insomma, si nutre della vita. Continua a leggere

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SCIE CHIMICHE. COSA STA SUCCEDENDO NEL NOSTRO CIELO

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VEDICHESTORIE. STORIE DI MATEMATICA VEDICA

È stato pubblicato da Nuova Ipsa Editore (Palermo) il libro contenente le prime tre storie di matematica vedica fra quelle scritte da me.

Copertina

Sono racconti, rivolti a bambini di età scolare, che veicolano un approccio alla matematica vedica e ad alcune sue tecniche.

Il libro non possiede caratteristiche strettamente didattiche, ma all’interno di ogni storia i giovani lettori fanno l’incontro con una tecnica particolarmente interessante di calcolo aritmetico secondo i principi educativi della matematica vedica. Non mancheranno, nello svolgersi delle storie, brevi riferimenti espliciti ai Sutra, alle formule di parole che ho tradotto in italiano in modo leggero e giocoso.

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Le prime tre storie

Ecco i primi tre racconti:

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Che cos’è la Matematica Vedica

È una matematica fondata su un postulato basilare: la possibilità e la volontà di semplificare. L’applicazione costante di questo principio di base trova perfetta evidenza nei calcoli matematici, che si eseguono con grande semplicità e rapidità, sempre su una riga sola. Ogni calcolo può essere svolto con il solo apporto della mente, ogni calcolo complesso può essere ridotto a un calcolo semplice.

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Sutra, aforismi matematici

I Sutra, vale a dire i versi ispiratori dei principi della matematica vedica sono contenuti in una porzione dell’Atharva Veda (Parishista). Con questo termine nella letteratura indiana si indicano aforismi brevissimi di rituale solenne o domestico, di filosofia, grammatica e letteratura scientifica. Caratteristica dei sutra è un’estrema brevità che li rende oscuri a chi non è in grado di interpretare: non svelano tutto ma servono a riportare alla memoria la conoscenza.

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Veda

Qualche curiosità etimologica. La parola Veda viene da vid, radice sanscrita che attiene al sapere, alla conoscenza. La parola, prima greca e poi latina, idea, ha la stessa etimologia; anche i sostantivi inglesi wit e wisdom pescano nello stesso bacino. E lo stesso vale per video che ha la facoltà di mostrare a tutti noi perché sa, conosce (e non ci resta che credergli).

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La funzione pedagogica della narrazione

Nelle VedicheStorie ho voluto veicolare attraverso la narrazione l’apprendimento di tecniche, di procedure aritmetiche, particolarmente interessanti perché passano attraverso l’uso del corpo. Pur trattandosi di percorsi molto semplici agli occhi dell’adulto, in realtà è risaputo che un ampio numero di bambini (e a livello diverso, di adulti) ha difficoltà ad adoperare soltanto un tipo di funzionamento della mente, quello paradigmatico. Continua a leggere

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Shri Bharati Krisna Tirthaji

Shri Bharati Krisna Tirthaji (1884-1960), è colui che tra il 1911 e il 1918 riscoprì il sistema di calcolo aritmetico racchiuso fra i Veda. Secondo i suoi studi, l’intero mondo del calcolo sarebbe racchiuso in 16 Sutra e tredici sotto-Sutra, da lui analizzati e infine trasmessi ai suoi allievi. Fu il maestro Tirthaji a fornire gli strumenti di interpretazione dei Sutra e a illustrarne ai suoi discepoli le tecniche applicative, liberandole dallo spesso strato di polvere della dimenticanza. Continua a leggere

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Intervista a Letizia Gariglio

L’articolo sulle VedicheStorie, di Francesca Sales, compare su numero dell’autunno 2013 della rivista inOgnidove. È seguito da un’intervista all’autrice Letizia Gariglio.
Intervista a Letizia Gariglio

Vedichestorie e la matematica vedica per i bambini

di Francesca Sales

Esce a fine mese nelle librerie, con distribuzione nazionale, un libro in formato album di un centinaio di pagine, dal titolo Vedichestorie”; l’editore è la Nuova Ipsa di Palermo. I lettori della nostra rivista conoscono l’autrice, Letizia Gariglio, che fa parte del nostro gruppo di giornalisti e scrive sulla nostra testata. Sue sono anche le illustrazioni del libro. Continua a leggere

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Recensione Pepe verde

Sulla rivista di lettura e letteratura per ragazzi Il Pepe Verde, numero di Aprile 60/2014, è uscita una presentazione di Ferdinando Albertazzi delle VedicheStorie.

L’articolo, intitolato Il gioco delle tabelline, si trova a pagine 29.  Continua a leggere

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INTEGRARE UOMINI E ANIMALI

INTEGRARE UOMINI E ANIMALI

(L’argomento è trattato in un lungo articolo apparso sulla rivista InOgniDove)

Piccoli parenti

I Comuni tendono la zampa

Piccoli parenti

 

 

I nostri piccoli parenti, li chiamava Emily Dickinson, riferendosi agli animali che la attorniavano, e non solo quelli a quattro zampe. E davvero gli animali si sono integrati nelle nostre vite di famiglia: per lo più famiglie nucleari o formate da single, che dell’animale, spesso cane o gatto, hanno fatto il loro partner. Del resto, l’animale pare essere ormai l’unico, nel panorama delle difficoltà sociali delle nostre esistenze, con cui riusciamo ad andare d’accordo, evitare discussioni, donare e ricevere affetto un po’ meno condizionato di quello che scambiamo con i nostri pari-condizione: gli umani. Continua a leggere

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TORINO CON OCCHIO SVIZZERO

TORINO CON OCCHIO SVIZZERO

(pubblicato sul n. 4 della rivista InOgniDove)

Torino attraverso gli occhi del fotografo Richard Forster

Intervista a Richard Forster

 

Torino attraverso gli occhi del fotografo Richard Forster

Richard Forster è un fotografo ginevrino, membro della prestigiosa Societé Genevoise de Photographie, dove ogni anno tiene corsi annuali sulla fotografia. Ingegnere, dopo aver lavorato per alcuni anni nell’ambiente industriale, si è dedicato all’insegnamento di carattere universitario, ma la sua passione è da sempre la fotografia. Continua a leggere

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LA CITTÀ POSSIBILE

LA CITTÀ POSSIBILE

(articoli pubblicati sul n. 3 del 2013 di  InOgniDove)

La città è ancora possibile per i bambini?

Intervista a Dario Manuetti, ideatore di La città possibile

 

La città è ancora possibile per i bambini?

Conosco Dario Manuetti da tanti anni. So che è uno che non si rassegna. Non si rassegna alle perdite e ai costi che il cosiddetto progresso impone, né alla rinuncia a cambiare le cose, almeno nell’ambito in cui da molto tempo si è reso attivo, con risultati che danno speranza.

Si è sempre occupato di ragazzi, di bambini, del loro rapporto con l’ambiente circostante e con una città che lui vorrebbe sostenibile: una città in cui per loro sia possibile vivere. Continua a leggere

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IMPARARE AD IMPARARE

IMPARARE AD IMPARARE

(Servizio pubblicato su InOgniDove, n. 3 del 2013)

L’ottimismo del Metodo Feuerstein

Mediazione cognitiva e mediazione culturale si incontrano nella scuola. Intervista agli insegnanti

 

L’ottimismo del Metodo Feuerstein

C’è una fondamentale fiduciosa condizione di ottimismo alla base del Metodo Feuerstein: quella che ciascun individuo sia modificabile e migliorabile a livello intellettivo. La convinzione è innanzi tutto umana, ma Feuerstein ha fornito la dimostrazione teorica di quest’assioma e ha tracciato la strada perché coloro che si occupano di educazione possano operare in modo scientifico nel loro lavoro.

L’idea è apparentemente semplice: l’intelligenza è un’abilità addestrabile, modificabile, migliorabile; quando ci si trova di fronte a danni dell’intelligenza, causati da fattori genetici o ambientali, si può intervenire per recuperare delle carenze e ri-mediare nel processo di sviluppo dell’individuo. L’intelligenza, dunque, non è un pacchetto prefissato che ci cucchiamo così com’è da mamma e babbo, inoltre nel caso disgraziato in cui una parte del contenuto del pacchetto per varie ragioni sia andato deteriorato è possibile recuperare.

L’idea, apparentemente così semplice, viene un uomo che oggi ha 91anni (è nato nel 1921 in Romania da famiglia di rabbini), è tuttora pedagogista e psicologo attivo e infaticabile. Egli è, a mio parere, il più grande pedagogista vivente.

È passato nel corso della sua esistenza e della sua storia personale attraverso le guerre, l’internamento nel campo di concentramento, la tubercolosi: le difficoltà non l’hanno mai piegato. Quando nel 1944 la Romania fu occupata Reuven Feuerstein, che in quel periodo insegnava a Bucarest in una scuola per figli dei deportati, fu internato in un campo di concentramento. Riuscito in maniera fortunosa a fuggire, si trasferì in Israele. Ha sempre insegnato: in un’ intervista raccontava tempo fa di aver iniziato a otto anni a insegnare ad un ragazzo di 15, spinto dalla preghiera di suo padre. Al quindicenne, irrecuperabile zoticone nessuno era mai riuscito a insegnare a leggere e scrivere, suo padre pregò Rueven di riuscirci: prossimo alla morte nessuno avrebbe potuto leggere per lui la preghiera funebre, affidata ai figli nei riti di religione ebraica. Reuven riuscì a rispondere alla richiesta. Si occupò di adolescenti sopravvissuti alle persecuzioni razziali, di orfani, insegnò ai bambini che arrivavano dai campi di sterminio: qualcuno di loro si era letteralmente fatto strada uscendo da una montagna di cadaveri ammonticchiati sopra di lui. Si potevano recuperare situazioni come questa, dove la sofferenza umana, fisica e psichica, avevano raggiunto proporzioni catastrofiche, minando anche le capacità dell’intelletto? Molti erano tentati di pensare negativamente. Ma Feuerstein non disperò. Dentro di lui non venne mai meno la convinzione che almeno in parte ci fosse sempre possibilità di risanamento per un trauma. La logica suggerisce che nell’apprendimento il risultato dipenda dalla condizione di partenza: compromessa tale situazione tutto farebbe pensare ad un successivo esito poco ottimistico. Ma Feuerstein ha dimostrato che il livello iniziale non costituisce un ostacolo insormontabile nel percorso verso la modificabilità. La sua convinzione, mattone dopo mattone, divenne teoria: la Teoria della Modificabilità Cognitiva.

Essa analizza la possibilità di cambiare strutturalmente i processi di pensiero degli individui, cambiando il modo con cui essi si accostano alla conoscenza. I neuroni del cervello umano, infatti, possono potenziare la loro rete di connessioni, incrementando quantità e qualità degli apprendimenti realizzabili.

Già, ma come fare? Qui interviene l’importanza del Metodo. L’esperienza di apprendimento, infatti, ha luogo, per mezzo del Metodo Feuerstein, in modo mediato, vale a dire attraverso la presenza e il supporto di un mediatore che, anziché esporre in modo diretto l’allievo agli stimoli, opera intenzionalmente, selezionando e organizzando gli stimoli stessi. Inoltra il Mediatore opera in maniera che l’esperienza attuata dall’allievo sia utilizzabile in altri contesti, attraverso un processo di generalizzazione. Il Mediatore ha il compito di creare le condizioni psicologiche e cognitive migliori per l’apprendimento e di dissolvere gradualmente i blocchi di chi deve imparare. Il blocchi sono stati messi in atto da paure, fallimenti, delusioni, sofferenze, hanno scatenato cattive abitudini cognitive: il mediatore interviene per sostituirle con altre, buone. Sebbene non sia proprio semplice come cambiare una lampadina, il Metodo Feuerstein fornisce al Mediatore gli strumenti per farlo e passa all’allievo paradigmi cognitivi che gli serviranno per affrontare situazioni via via più complesse e diverranno suo patrimonio metodologico e strumentale personale.

L’obiettivo del Mediatore non è mai il puro accrescimento delle conoscenze nozionistiche di un allievo, bensì lo sviluppo delle capacità, degli strumenti conoscitivi, i quali si possono solidificare in lui in buone abitudini cognitive, spendibili in contesti diversi, nell’approccio con diverse soluzioni problematiche.

Il Metodo Feuerstein, di cui sono accesa sostenitrice nel mondo scolastico, ha trovato numerosi campi di applicazione negli ultimi anni. È utilissimo per espandere le capacità intellettive a qualunque livello, perché ciascuno di noi, a qualunque età, mostra predilezione o antipatia per particolari forme di ragionamento: il Metodo spinge a frequentarle tutte, aprendo la mente. Un nodo fondamentale è il passaggio attraverso a verbalizzazione, la quale plasma il pensiero, influendo fortemente sulla qualità del pensiero stesso della persona.

È passata attraverso i benefici del Metodo buona parte della formazione di dirigenti e quadri di azienda, nonché la fascia degli anziani. Non è un mistero che l’età avanzata sia comunemente percepita, nell’opinione diffusa, come un blocco alla modificabilità cognitiva, se ne attribuisce la causa al fatto che la maturazione del sistema nervoso è in fase conclusiva; gli anziani stessi sono molto critici nei confronti della propria memoria, affermano comunemente che sia per loro più difficile imparare di quando erano giovani. Al di là del fatto che l’età possa essere percepita nell’opinione comune come un impedimento all’evoluzione cognitiva, Feuerstein ha dimostrato che l’età non è un deterrente all’apprendimento: il suo Metodo è assai utile per lo sviluppo negli anziani delle funzioni comunicative e cognitive, e che essi sono in grado di migliorare rispetto alla loro storia personale quando una mediazione idonea, arricchente dal punto di vista relazionale e intessuta con l’influenza del loro vissuto. Del resto chi potrebbe non essere d’accordo oggi sulla necessità di un’educazione permanente? L’apprendimento deve essere una costante della nostra vita, dobbiamo costantemente prepararci ad essere flessibili per affrontare novità.

I dinosauri sono da tempo definitivamente scomparsi, anche nel campo del sapere.

Mediazione cognitiva e mediazione culturale s’incontrano nella scuola.

Intervista alle insegnanti

Nonostante le numerose espansioni il terreno naturale di applicazione dei Metodi cognitivi resta la scuola, luogo designato nella nostra società per la trasmissione culturale. Intervistiamo due insegnanti, entrambe Mediatrici Feuerstein, Rossana Alessandria e Pina Longobardi, che nell’ambito della scuola primaria (elementare) si sono trovata ad affrontare, negli anni più recenti, molte difficoltà in ambito educativo. Insegnano in una zona calda della città, che raccoglie un bacino di utenza attorno a Porta Palazzo, il più grande mercato d’Europa e nello stesso tempo il fulcro dell’immigrazione in città. Definire pluralistica la situazione educativa in cui operano non rende del tutto giustizia ai numeri: le classi dell’istituto in cui insegnano sono formate talvolta da totalità o quasi totalità di allievi stranieri, alcuni dei quali non conoscono per niente o pochissimo la nostra lingua. Capita che qualcuno più grande non sia mai stato scolarizzato nel paese da cui proviene.

Volete descriverci la situazione, Pina e Rossana?

Vista dall’esterno, la situazione dell’I.C. Regio Parco può sembrare difficile, affatto. La nostra scuola è un ambiente complesso e molto stimolante, soprattutto per noi insegnanti. Oltre ad alunni che presentano inadeguatezza di strumenti cognitivi e modalità operative o non adeguate esperienze di crescita e di apprendimento all’interno della famiglia o della cultura d’origine, i plessi possono vantare numerose eccellenze.

È ovvio che in una situazione del genere gli insegnanti abbiano dovuto rivedere alcune delle certezze sulle quali fondavano in precedenza i propri metodi d’insegnamento. Una bella lezione di flessibilità per voi. Immagino abbiate dovuto esplorare molte possibilità per trovare la strada migliore. Volete dirci perché il Metodo Feuerstein vi è sembrato il più adatto per giungere a buona integrazione dei gruppi di allievi e ad attivare nello stesso tempo le risorse dei singoli allievi?

Pina: durante i miei anni di precariato, il mio lavoro tra i banchi di scuola è sempre stato sostenuto da una grande dose di entusiasmo, che per tanto grande fosse, non era sufficiente a capire i problemi di apprendimento. I corsi di formazione, i testi di pedagogia e didattica mi hanno sempre lasciato interrogativi aperti finché, nove anni fa, sono approdata al metodo Feuerstein.

Rossana: mi sono avvicinata alla metodologia Feuerstein 6 anni fa grazie anche a Pina che era già formata e ad alcune giornate di sensibilizzazione al Programma di Arricchimento Strumentale presentate nella nostra scuola.

Sono stati i presupposti da cui parte Feuerstein:

la fiducia nella modificabilità cognitiva strutturale degli esseri umani. cioè il concetto che l’intelligenza può essere modificata e che si possono insegnare i processi intellettivi necessari a svilupparla, l’importanza che attribuisce alla mediazione nell’apprendimento e la visione ottimistica del processo insegnamento/apprendimento a spingermi a iscrivermi ai corsi di formazione che sono stati organizzati nel nostro istituto negli anni successivi.

Attualmente nell’IC Regio Parco ci sono più di 40 insegnanti formati alla metodologia Feuerstein che la sperimentano nei plessi di scuola dell’Infanzia, di scuola primaria e scuola secondaria di 1^ grado.

Pina ed io facciamo parte di ARRCA NOVA onlus (Associazione Ricerca Ristrutturabilità Cognitiva Apprendimento) che si occupa di sperimentazione e formazione continua.

Sicuramente abbiamo modificato le pratiche e il nostro stile di lavoro, ovvero,imparato a far ricorso a più modalità comunicative, a riconoscere e a rispettare i differenti stili cognitivi, con Feuerstein, appreso a “leggere” il processo mentale, a proporre costantemente attività metacognitive, a snellire i programmi senza abolirne la qualità.

La lezione di flessibilità ha avuto bisogno di Coraggio prima di tutto, per poter sfociare spesso nella capacità di ridimensionare e riorientare in itinere, non solo il lavoro programmato ma anche le situazioni di classe in continua mobilità e cambiamento dovuti all’accoglienza o ai trasferimenti in corso d’anno scolastico che nel nostro Istituto Comprensivo si verificano più che in altre scuole

Il metodo Feuestein è sicuramente il più adatto perché propone una batteria di strumenti, strutturata in modo molto particolare (Programma di Arricchimento Strumentale) nei quali i contenuti sono lontani da qualunque disciplina e non assomigliano affatto ai compiti scolastici; non si basano sui Contenuti, con successiva valutazione dei prodotti, ma sui Processi mentali da attivare . L’utilizzo di tali strumenti da parte del docente mediatore consiste nel selezione determinati stimoli e nell’esercitare i processi mentali, attraverso compiti che non indicano cosa sa o non sa fare un alunno ma cosa potrebbe fare, qual è il suo potenziale, il perché delle sue capacità inespresse.

Inoltre il PAS offre grandi vantaggi: può essere proposto a chiunque, anche a chi non sa leggere perché non richiede particolari competenze, né conoscenze pregresse; proprio perché non riconducibile alle materie tradizionali, non causa ansia da prestazione o reazioni di rifiuto, atteggiamento normale tra le “vittime” di insuccessi scolastici; le risposte degli alunni possono essere di tipo grafico, verbale, gestuale, mimico,etc.

Feuerstein propone una visione plastica dell’intelligenza, che nella sua concezione non è fissa, non è immutabile e non è misurabile. Per contro l’intelligenza è educabile. In una società complessa quale quella in cui vi trovate ad operare se non si attivaun approccio alla situazione in cui per davvero si cerchino soluzioni, si creda veramente con fiducia nello sviluppo dei giovani, si può essere sopraffatti dalle difficoltà. Quali sono a vostro parere gli aspetti più importanti da Feuerstein suggeriti, da mettere in atto nel rapporto con gli allievi?

La Teoria della “Modificabilità Cognitiva Strutturale ”nasce più di 50 anni fa grazie ad una forte convinzione, una grande intuizione da parte del suo creatore, ma sono solo 10 anni che le neuroscienze ne confermano la fondatezza e questo ci sembra già un bell’esempio di uno dei criteri di mediazione, quello della mediazione della scelta di un’alternativa ottimistica.

Impossibile qui citare tutti i criteri che un insegnante/mediatore utilizza nel suo lavoro quotidiano ma la centralità della Teoria della Mediazione è basata sul criterio della trasmissione culturale che passa attraverso l’ Intenzionalità, la Reciprocità, il Significato e la Trascendenza.

Il protagonista è il soggetto che apprende, non l’insegnante, il clima nel quale viene a vivere le sue esperienze deve farlo stare bene con se stesso e con gli altri. Vanno incoraggiati, da un lato il sentimento di appartenenza, dall’altro si deve instillare una buona dose di autostima per creare “la convinzione di potercela fare”. Ciò che ognuno di noi pensa di se stesso è probabilmente la diretta causa del successo o del fallimento negli apprendimenti, del trovare o meno soluzioni ai problemi che la vita ci presenta. Mediazioni come quella del Senso di Competenza o del Sentimento di Sfida sono fondamentali se si spera di accrescere la motivazione ad apprendere, ad aprire la strada al cambiamento.

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PIEMONTE OCCITANO

PIEMONTE OCCITANO

(Servizio pubblicato sul n. 1 della rivista InOgniDove)

Occitania e lingua d’oc

In carrozza! Si parte con la carovana Balacaval

Curiosità occitane in Italia

Occitania e lingua d’oc

L’Occitania è il territorio in cui si parla la lingua d’oc, o occitano o provenzale. L’occitano, è una lingua indoeuropea, appartenente al gruppo occidentale delle lingue neolatine, si è formata dalle lingue iberiche e celto-liguri, in seguito latinizzate dalla successiva conquista romana.

 

Fu Dante a usare per primo la definizione di lingua d’oc, quando nel XV secolo tentò una classificazione tra le lingue romanze individuando tre idiomi: la lingua del sì, l’italiano, la lingua dell’oil, il francese; la lingua d’oc, l’occitano. Per definirle prese come riferimento la particella Òc (dal latino hoc est : è questo, è così) che indicava l’affermazione, il francese la derivava invece daillud est(quello è) e l’italiano da sic est(così è).

 

Il termine Occitania, dunque, indicava l’insieme delle regioni in cui si parlava la lingua d’òc. L’estensione del territorio occitano è delimitata a Nord da un filo che unisce Bordeaux a Briançon oltrepassando Limoges, Clermont-Ferrand e Valence. Questo filo ideale, non segnato su alcuna mappa, attraversa le Alpi e comprende valli sul versante italiano, a ovest lungo il mare si allunga sulla costa mediterranea da Mentone sino alla Catalogna. Infine si dirige verso i Pirenei, tocca in Spagna i Paesi Baschi e arriva fino all’Oceano Atlantico. Non si è mai smesso di parlare la lingua d’oc, che pure fu lungamente considerata nelle Valli Piemontesi alla stregua di un dialetto.

 

Nella storia dell’Occidente europeo non è mai esistito uno stato di Occitania; pur riconoscendosi l’etnia come un’entità avente alcune precise caratteristiche – prima fra le quali l’uso della lingua d’oc, non è mai stato costituito un Paese unito in grado di essere riferimento istituzionale unitario. Tuttavia nel 1213 si formò per la prima volta una confederazione di realtà occitane intorno al conte di Barcellona, il quale era anche conte di Provenza e re d’Aragogna, sotto il quale si sottomisero il conte di Tolosa ed altri feudatari minori.

 

Nella storia del Piemonte si è spesso intrecciata la storia dei Valdesi con la storia della lingua d’oc e anche oggi la comunità valdese si sente coinvolta nella valorizzazione della cultura occitana.

 

Lungamente perseguitati come eretici dalla Chiesa Cattolica e dai poteri temporali fin dal 1200, le comunità dei Valdesi iniziarono a stanziarsi nei territori del Piemonte corrispondenti alle attuali province di Cuneo e Torino, portando con sé la lingua e la cultura occitane. Attualmente il Piemonte ospita 41 delle 120 chiese italiane, di cui 18 si trovano nelle cosiddette Valli valdesi in provincia di Torino, cioè la Val Pellice, la Val Chisone e la Val Germanasca; la sola città di Torino ne possiede quattro. Questi territori sono il fulcro della Chiesa evangelica valdese; ogni anno a fine agosto, il paese di Torre Pellice, in Val Pellice, ospita il Sinodo Valdese, durante il quale si riuniscono in assemblea i deputati e i pastori delle chiese locali.

 

La lingua occitana, ben radicata nelle sue terre, sorprende oggi per la forza con la quale tuttora getta germogli, riuscendo a sostenere la propria cultura, senza mai rinunciare a far sentire la propria voce. Non va dimenticato che fu la lingua attraverso la quale si espressero la poesia e la cultura poetica trobadorica; nel 1905 a Federico Mistral fu assegnato il premio Nobel per il poema in occitano/provenzale,“Mireio”.
In Italia sono occitane quattordici valli e centoventi comuni delle province di Cuneo, Torino e Imperia con i suoi 180.000 abitanti. In Piemonte la cultura occitana si estende sul territorio cuneese dall’Alta Val Tanaro, Corsaglia e Maudagna alle valli Ellero, Pesio, Vermenagna, Gesso, Stura, Grana, Maira, Varaita e Po con le laterali Bronda e Infernotto. Proseguendo in territorio torinese, si aprono le valli Pellice, Chisone, Germanasca e la Valle di Oulx, con cui si indica l’alta Val Susa. L’Occitano ha delle varianti locali e tra queste il Vivarese o Occitano alpino, di cui fanno parte le parlate delle valli occitane d’Italia.

 

 

In carrozza! Si parte con la carovana Balacaval

 

Loro si presentano così: Manuela “marcetta” Almonte (manager, blogger, nonché fisarmonicista, cantante e tuttologa); Stefano “victor” Protto (progettatore e costruttore dei carri. Talvolta contrabbassista e violinista. Venditore occasionale di coltelli); Peyre “raki” Anghilante (arrangiatore fisarmonicista e sassofonista, madrelingua occitano Doc. Massaio della compagnia); Claire “gum” Vincent (clarinettista e flautista di scuola francese, percussionista, blogger e rifinitrice di carrozze); Eva “evalise” Cischino (attrice, barista, regista degli spettacoli, portatrice di umanità e gentilezza nel rude mondo dei Balacaval); Alberto “jacuhammed” Comino (percussionista, tecnico, ex spartitraffico, riequilibratore di energie interne); Marco “cancello” Ghezzo (violinista e contrabbassista, cuoco macrobiotico e anche sassofonista); Andrea “peanuts” Fantino (fotografo e videomaker più o meno nerd a seconda della giornata). Tutti insieme sono la Carovana Balacaval.

 

Viaggiano in carovana, su carri trainati da cavalli, che assomigliano tanto a quelli che noi, generazione cresciuta con i western, abbiamo ammirato in tanti film che raccontavano la conquista dell’Ovest. Chi di noi non ha sognato di viaggiare così? Divenuti grandi, qualcuno fra noi ha più modestamente tradotto l’agognata carrozza in un camper col quale girare il mondo, altri hanno rinunciato del tutto affidandosi alle più o meno numerose stelline dell’ospitalità alberghiera.

 

Ora, qui non c’è necessità di scoprire un nuovo mondo, né quella di decidere da che parte stare, se con gli indiani o con John Wayne, la carovana non si pone mete geografiche alla fine del mondo, ma quella di fare un viaggio insieme. Chi viaggia? Una compagnia di attori e musicisti, con l’equipe di tecnici. Portano nelle tappe che via via toccano spettacoli e laboratori itineranti; organizzano serate di ballo, cine-concerti nelle piazze e nei parchi piemontesi. Li guida una filosofia di performance che vuole stabilire, in modo molto originale, un contatto con le comunità e il territorio in cui entrano con i propri carri e l’armamentario con cui “far ballare i burattini”. Non si può dire che il gruppo sia colto dalla frenesia di viaggiare ad alta velocità – nessun problema di fuso orario, tranquilli: si va ai cinque all’ora e si arriva quando si arriva.

 

Là dove arriva la piccola comunità nomade crea il senso antico della “piazza” pronta ad accogliere il pubblico; si monta un carro palco, un carro bar, due carri abitazione, un parquet per il ballo e un impianto di illuminazione che lega insieme l’atmosfera di teatro itinerante di altri tempi.

 

Avviato il primo progetto nel 2010, oggi, sostenuto dalla Chambra d’Oc e dalla Regione Piemonte stato inserito nel progetto transfrontaliero “Itinerari culturali” dell’associazione Marcovaldo in collaborazione con il Conseil General des Alpes de Haute Provence.

 

Il territorio in cui la Carovana Balacaval gira è il Piemonte.

 

Curiosità occitane d’Italia

Cercate sulla cartina geografica, un po’ più a sud delle valli occitane piemontesi un nome, il nome di un paese – peraltro molto piemontese – che tuttavia ha origini occitane. Fissate la mappa, per ora, e cercate. Così, sì, ma un po’ più in giù, ancora un po’… ancora? Sì, ancora. Dobbiamo arrivare laggiù, nella parte bassa dello stivale, in provincia di Cosenza. Ed eccolo lì, Guardia Piemontese: paese occitano dalle tragiche radici, con una storia di persecuzione alle spalle, come nella storia degli occitani spesso accade.

Questa è una storia di persecuzioni religiose di tanto tempo fa. Un gruppo di Valdesi si era mosso verso sud alla ricerca di uno spazio di vita in terra di Calabria, forse spinto da un’endemica situazione di paura che vedeva la popolazione valdese muoversi in Piemonte in una condizione di permanente pericolo.

Non si sa quando i valdesi giunsero in Calabria, ma si possono avere scarsi dubbi sulle motivazioni. Secondo alcuni studiosi, essi vi giunsero attorno al XIII secolo per sfuggire alle persecuzioni in atto nelle valli piemontesi. In Calabria, i Valdesi assestati in quella zona poterono godere di una vita relativamente tranquilla fino a quando la Chiesa Valdese aderì alla Riforma protestante (risoluzione di Chanforan, 1532). Allora i Valdesi calabresi presero a essere considerati eretici, e furono perseguitati al sud nello stesso modo con cui lo furono in Piemonte e in Provenza. La caccia all’eresia vide una respressione molto cruenta e i valdesi di Calabria furono meticolosamente perseguitati: insediamenti, borghi, villaggi distrutti; uomini, donne e bambini furono sgozzati o arsi sul rogo. Chi rimase in vita fu costretto a convertirsi alla religione cattolica, o forse proprio per questo ebbe salva la vita.

A nulla valse che il villaggio fosse sorto in posizione elevata (circa 500 metri sul livello del mare) e e che fosse cinto da mura a scopo difensivo, che fosse presente un’antica torre d’avvistamento realizzata (assieme a molte altre sparse lungo la costa tirrenica) tra XI e XII secolo per segnalare in anticipo le incursioni di pirati e saraceni. La tradizione popolare, infatti, aggiunge al racconto anche il fatto che molte donne e molti bambini siano stati venduti ai mori. “Li turchi” infestavano costantemente le zone costiere e non si stenta a credere che vi fosse chi, spinto da uno spirito commerciale completamente privo di scrupolo, avesse potuto concludere un simile commercio. I turchi, i mori nell’immaginario della musica popolare sono rimasti immortalati nella loro paurosa veste di conquistatori. “A tocchi a tocchi ‘na campana sona / li Turchi so’ arivati alla marina…” si cantava già nel 1500. “Mamma, li Turchi!” era il grido di allarme che rimbalzava fra le atterrire popolazioni costiere quando stavano per approdare alle rive: le scorrerie dal mare erano frequenti e lasciavano segni terrificanti. Turchi, saraceni, arabi, musulmani, mori: molti nomi in un solo fascio per indicare chi da oltremare giungeva per razziare, saccheggiare e distruggere.

I più deboli pagavano il prezzo più alto.

Oggi a Guardia Piemontese si è conservata la tradizione della parlata occitana. La lingua locale si denomina guardiolo. Costituisce l’unico esempio di lingua occitana nel meridione italiano.

Non si è conservato nelle altre località edificate e abitate dai Valdesi nei secoli passati. Infatti, oltre che a Guardia Piemontese (allora chiamata La Guardia), essi si erano insediati anche in altre località dell’attuale provincia di Cosenza tra le quali Montalto Uffugo, Vaccarizzo, San Vincenzo La Costa e San Sisto dei Valdesi.

 

 

 

 

 

 

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STELLE DI PACE

STELLE DI PACE

(servizio pubblicato su Oltre, n. 35):

La pace di Emergency e il Canavese

Delegazione di Emergency ad Alpette

Ebbene, diamo i numeri

Intervista a Mauro Carazzato

Intervista a Ivana Mighetto

 

La pace di Emergency e il Canavese

“Stelle di pace” è il titolo dell’iniziativa dei gruppi di Emergency del Piemonte. Per una volta la pace era la loro, abitualmente impegnati nel rischiarare, grazie all’assistenza medica che forniscono gratuitamente, la difficile esistenza di molti civili, in difficili situazioni di guerra o conseguenti la guerra.
Così, per una volta, non si è trattato di lavoro, condotto in tempi e modi d’emergenza, come il nome dell’organizzazione suggerisce: si è trattato di vacanze.
D’altra parte Alpette di stelle se ne intende – l’interesse del paese per l’osservazione astronomica è storico. Attualmente qui si ospita un efficiente planetario, di recente edificazione, che è andato ad aggiungersi a un osservatorio astronomico esistente da molti anni: il primo osservatorio fu costruito nel 1972, il Comune dispose il secondo nel 1987, nella parte più alta dell’edificio comunale. Oggi la dotazione si avvale di un telescopio in grado di scovare le stelle cinquemila volte più deboli di quelle che si percepiscono a occhio nudo. Puoi immaginare se non catturava le “stelle” di Emergency!
Così l’iniziativa, coordinata da Emergency e dal Comune di Alpette, ha trovato subito una sede appropriata dove organizzare tre giorni di riposo: il grazioso luogo, nella Valle dell’Orco, a mille metri circa di altitudine.
Il piccolo ma attivissimo Comune ha accolto con viva partecipazione medici, infermieri, logisti, personale volontario, amici e simpatizzanti di Emergency. Ha fisicamente messo a disposizione il proprio campo di calcio in un fine settimana di luglio, dove si è improvvisato un campeggio, ma occorre dire che ogni attività ha trovato la più idonea location, grazie all’impegno di amministratori e Pro-loco.
Durante i tre giorni si sono avvicendate molte attività, fra cui escursioni, corsi di danze occitane, corsi di yoga, giochi per bambini e ragazzi, visite al locale Museo del Rame, all’osservatorio e al planetario.
La musica occitana ha contraltato con la musica rock. Così le band dei Rumble Rock, degli Yossakid, dei Mamalook, dei Pulsive si sono alternati con il gruppo musicale Controcanto, con il suo diverso repertorio occitano. Due differenti readings hanno animato le serate.
Si è trattato del primo incontro di Emergency, caratterizzato in questo modo, in Piemonte. Nell’occasione delle “Stelle di pace” Emergency ha fatto conoscere i propri volontari che operano in Sierra Leone e in Afghanistan, i quali hanno testimoniato in modo diretto il proprio impegno nell’assistenza medica e ospedaliera.
Il filo che ha unito il piccolo centro del Canavese e la struttura medica internazionale, tuttavia, non si è reciso qui. L’amicizia è continuata e il 20 agosto, nella Sala Consigliare del Comune, abitanti e villeggianti di Alpette hanno nuovamente incontrato gli operatori di Emergency, fra cui una delegazione proveniente dal Sudan. Il bis ha rinnovato l’interesse, suscitando una sentita adesione.
Così le “stelle” di Emergency, capaci di portare un po’ di luce nella vita difficile di tante persone in grave difficoltà, bisognose nei territori di guerra di cure amorevoli, ma anche di interventi chirurgici specialistici, hanno brillato nel cielo del Canavese, illuminando le storie che hanno raccontato con la loro umanità, congiunta con la professionalità. L’autentica partecipazione, emergente dalla testimonianza dei volontari, ha creato nel pubblico, attorno al gruppo, un clima partecipativo intenso.
Non capita tutti i giorni: l’evento astronomico aveva un’importanza speciale!

Delegazione di Emergency ad Alpette

Il 20 agosto il Canavese ha incontrato Emergency per la seconda volta, nell’arco di poco tempo.
Il responsabile della delegazione torinese di Emergency, Mauro Carazzato, ha presentato al pubblico canavesano, ad Alpette, i principi e le attività dell’organizzazione, fondata da Gino Strada, in divesi paesi del mondo. In particolare poi Elena Carlini, tecnico perfusionista di ritorno dal Sudan, ha illustrato al pubblico il modo con cui vengono offerte alla popolazione sudanese cure gratuite specialistiche nell’ospedale di Emergency che ha sede a Khartoum.
Quando l’incontro ha inizio è la proiezione della fotografia di Francesco Azzarà a campeggiare sul telo di proiezione: di lui, rapito il 14 agosto, non ci sono più notizie. Unica reale notizia: la mancanza di notizie. Nessuna richiesta dei rapitori, nessun approccio; nulla di nulla.
Emergency è un’organizzazione italiana indipendente, il cui scopo fondamentale è prestare cure mediche e chirurgiche gratuite e di alta qualità alle vittime di guerra, delle mine anti-uomo e della povertà. Promuove una cultura di pace, solidarietà e rispetto dei diritti umani.
La loro azione parte nella maggior parte dei casi dalla costruzione di un nuovo ospedale. Perché la struttura deve essere perfettamente efficiente e offrire il massimo delle possibilità. Poi viene installato personale internazionale altamente qualificato. Ma lo scopo è sempre quello di arrivare, nel tempo, ad affidare dapprima parzialmente e poi completamente la struttura in mano di personale del luogo. L’aspetto di formazione del personale locale è dunque molto curato. Per esempio in Irak è già accaduto due volte, con due ospedali diversi: affidati ora alla gestione della popolazione e del personale del terriotorio, sebbene costantemente monitorati a distanza dalla organizzazione madre, per assicurarsi che le due caratteristiche fondamentali che muovono Emergency – gratuità del servizio e eccellenza – non vengano mai meno.
Emergency è nata per aiutare le vittime civili di guerra. I numeri esponenziali con i quali le vittime di guerra sono aumentati dalla prima guerra mondiale a oggi sono spaventosi; molti fra loro sono donne e bambini. Basti pensare che si calcola che ancora oggi nel mondo siano attive circa 150 milioni di mine. Quante rovineranno per sempre la vita di una o più persone? Quante gambe, braccia, parti di corpo ancora saranno dilaniati? È su corpi come questi che Emergency ha dapprima concentrato il suo intervento, ma vittime di guerra in senso più esteso sono tutte le popolazioni che continuano a soffrire le conseguenze di una guerra vissuta e patita, compresa quella dell’estrema povertà.
Dove la guerra non è la causa diretta del bisogno di cure mediche, sono le condizioni ambientali e climatiche a fare i disastri, a rendersi causa di malattie endemiche. In Sudan, per esempio, per combattere contro le malattie del cuore è stato costruito il Salam Center, centro d’eccellenza di cardiochirurgia. Si opera sulle valvole del cuore, mitraliche e aortiche. E se in occidente sono generalmente gli anziani a necessitare di questo genere di interventi, in Africa i chirurghi operano bambini dai cinque anni, e adolescenti, che hanno un organo del cuore disastrato da malattie reumatiche e per vivere non avrebbero alternativa alle cure chirurgiche.
Ora in Sudan Emergency ha ottenuto grandi risultati, intervenendo nella politica sanitaria del paese ospite, contribuendo a formulare un accordo fra paesi africani, grazie all’Aime, Rete Sanitaria fra Paesi Africani. E’ anche in base a questo accordo che il centro cardiochirurgico specializzato di Emergency nel Sudan è aperto, sempre in modo gratuito, alle popolazioni dei paesi limitrofi.
Va specificato che i sistemi sanitari dei diversi paesi non prevedono assistenza gratuita ai malati: Emergency non solo si presenta come una realtà medica e assistenziale di altissimo livello, a comparazione di qualunque altro centro ospedaliero locale, ma si configura del tutto eccezionalmente come realtà gratuita.
Grazie all’impegno con il quale ha operato in Sudan, Emergency ha avuto un peso nell’ottenere in quel paese l’impegno del governo locale a contribuire all’assistenza pediatrica gratuita per i bambini sotto i quattordici anni.
Là dove ci sono ospedali pediatrici, come in Panshir, come l’ospedale Anabah, Mattanbang in Cambogia, Gaderich in Sierra Leone, Sulamaniya in Irak (struttura dotata anche di un laboratorio di costruzione di protesi), Bangui in Centrafrica, il Saalam Center in Sudan, ovunque vi sia la presenza di bambini c’è sempre una parte di lavoro dedicata all’educazione e al gioco.
Le immagini che vediamo in proiezione presentano sempre non solo un alto grado di cura, di pulizia, di efficienza; ad essa si aggiunge qualcosa di più: l’armonia e la bellezza delle forme, l’espressione colorata e aggraziata di una natura condotta e contenuta in modo sapiente: fiori, erbe, piante, giardini, vialetti. Vi si legge e vi si comprende un’idea antica quanto l’uomo, questo stesso uomo che sa uccidere, dilaniare i corpi di bambini, sfruttare attraverso la povertà e i conflitti, eppure sa che la guarigione del corpo passa necessariamente attraverso la guarigione dell’anima.
Nei centri ospedalieri di Emergency la cura dello spirito si avvale dell’umanità del personale, quanto della bellezza.

Ebbene, diamo i numeri

 

3.663.738 persone che hanno ricevuto cure negli ospedali di Emergency, nei Centri pediatrici, come in quelli chirurgici, nei Posti di primo soccorso, nei Centri di riabilitazione

15.303 bambini curati nel Centro pediatrico di Bangui, nella capitale della Repubblica Centrafricana, solo dal marzo 2009 a oggi
70 i bambini che vi vengono visitati gratuitamente ogni giorno
24 ore su 24 l’orario di apertura dell’ambulatorio

82.499 le persone assistite in Sudan dal 2005
16.105 visite in ambulatorio nel Centro Salam di cardiochirurgia a Khartoum
9.389 visite specialistiche cardiologiche nel Centro Salam
1.952 pazienti ricoverati
1.745 interventi chirurgici
599 procedure di cardiologia diagnostica e interentistica
Nel Sudan un Centro pediatrico è situato presso il campo profughi di Mayo ed è l’unica struttura che offre assistenza gratuita di base per circa 300.000 persone.

3 i minuti che a stento passano senza che Emergency curi una persona
Dove?

In Afganistan, nel Centro Chirurgico per vittime di guerra di Anabah, Valle del Panshir, cui si è affiancato un Centro di Maternità e uno di Pediatria. Un secondo centro chirurgico per vittime di guerra è stato aperto a Kabul. Un terzo Centro è stato aperto a Lashkar-gah, nel meridione del paese: porta il nome di Terzano Terzani. Si aggiungono, sempre in Afganistan, molti Posti di primo soccorso e centri sanitari. Inoltre Emergency fornisce assistenza ai prigionieri, nelle prigioni di Duab, di Shebergan, di Lashkar-gah, di Kabul

In Cambogia, dove dal 1998 a Battambang, nel nord del paese, opera e riabilita i feriti da mina antiuomo. È intitolato a Ilaria Alpi. Per far fronte ai feriti da mina ha istituito 4 Posti di Primo Soccorso nel distretto densamente minato di Samlot e lungo le vie di ritorno dei profughi dalla Tailandia

In Irak ha prima riattivato l’ospedale di Choman, villaggio del Kurdistan iracheno, al confine fra Iran e Irak. Sono stati aperti due Centri chirurgici: Sulaimanya e Erbil. Entrambi sono ora affidati completamente alla gestione di personale locale. Inoltre a Sulaimanya ha aperto un Centro di riabilitazione e di reintegrazione sociale. Gli ex pazienti, che hanno subito amputazioni, vengono riabilitati, formati professionalmente e sostenuti economicamente nell’avvio di botteghe, cooperative e negozi

Nella Repubblica Centrafricana, dove il tasso di mortalità infantile è di 115 decessi ogni 1000 nati vivi, è stato aperto il Centro Pediatrico di Bangui
43.678: il numero di bambini curati dal marzo del 2009 a oggi in Repubblica Centrafricana

In Sierra Leone ha aperto un complesso ospedaliero, di cui fa parte un Centro Pediatrico, dove fra l’altro vengono curate le malattie malariche, anemie e infezioni respiratorie

Intervista a Mauro Carazzato

Referente Gruppo Territoriale Torinese di Emergency

Conosciamo le finalità, il modo di operare di Emergency nelle condizioni d’emergenza dei paesi di guerra, l’impegno e la serietà con cui l’organizzazione agisce, offrendo cure d’eccellenza gratuite alle vittime di guerre e povertà, portando forme di soccorso medico di alto livello. Si avvale di volontari. Ma come si diventa volontari di Emergency? Al di là delle specifiche competenze mediche e infermieristiche, anche altri possono diventare volontari di Emergency? Come e cosa fare?

Emergency riesce a realizzare e gestire i propri progetti fondamentalmente grazie al contributo economico di privati cittadini, dai quali arriva l’80% dei fondi raccolti.

Questo denaro si raccoglie tramite iniziative di raccolta fondi (concerti, spettacoli teatrali, incontri pubblici), con il 5×1000, oppure con l’adozione di un ospedale, la tessera di Emergency. Insomma, tante modalità sulle quali si attivano quotidianamente circa 4.000 volontari in tutta Italia.

I volontari fanno riferimento a Gruppi Territoriali, come quello di Torino. Come si diventa volontario? Molto facile. Non esistono competenze specifiche, basta condividere la passione in ciò che fa Emergency e dedicare del tempo a che questo possa realizzarsi.

Ognuno dà quello che può e che sa fare. C’è chi organizza e partecipa ai banchetti informativi e di vendita gadget, chi si occupa dell’organizzazione delle iniziative, chi del magazzino territoriale, chi del rapporto con le istituzioni e con la stampa, chi degli interventi nelle scuole, chi dell’accoglienza nuovi volontari.

C’è molto da fare e quindi diamo sempre il benvenuto a forze fresche. Perché il compito di un gruppo territoriale non è limitato alla raccolta fondi ma anche finalizzato alla diffusione di una cultura di pace.

È stata la sua storia professionale ad avvicinarla ad Emergency? Qual è stato il suo personale percorso di avvicinamento?

Assolutamente no, il mio lavoro non rientra nel mondo sanitario. Sono sempre stato un grande ammiratore del lavoro di Emergency. Un lontano giorno incontrai un banchetto del Gruppo di Santena a una mostra di pittura, chiesi cosa potessi fare per dare una mano, al di là del sostegno economico, e fui indirizzato all’accoglienza del Gruppo di Torino. Così sono diventato volontario e ora eccomi qui.

Il gruppo territoriale torinese presenta qualche particolarità rispetto ad altri gruppi sparsi nel nostro paese? Ha una sua specificità? Come è organizzato e che cosa fa per comunicare all’esterno ciò che fa Emergency? Come vi muovete?

Il Gruppo di Torino è una bella realtà. Con circa 40 volontari attivi e molti simpatizzanti pronti a dare una mano. L’organizzazione non ha una struttura gerarchica, nel senso che ciascuno propone idee o progetti, siano per la raccolta fondi o per la diffusione della cultura di pace, poi il gruppo decide. Ci sono sì dei singoli referenti per i sottogruppi (comunicazione, eventi, scuola, accoglienza, magazzino …) ma semplicemente per far funzionare il gruppo al meglio.

Abbiamo un sito (www.emergencypiemonte.it) dove tutti possono trovare informazioni e iniziative dei diversi Gruppi territoriali del Piemonte. Torino, rispetto alla maggior parte dei gruppi italiani, dall’anno scorso organizza un mercatino di Natale strutturato come quelli di Milano e Roma, dove oltre ai classici gadget si possono trovare tantissime idee regalo. Dall’oggettistica all’abbigliamento, alimentari, giocattoli e tanto altro. Nel 2010 l’abbiamo tenuto in alcuni locali di Piazza Palazzo di Città. Quest’anno stiamo definendo dove tenerlo, ma molto probabilmente sarà in Piazza Emanuele Filiberto.

Una novità assoluta sarà l’apertura di un Info Point Emergency in Torino. I locali sono stati scelti e a settembre cominceremo i lavori per cercare di arrivare all’inaugurazione entro la prima metà di ottobre. È un posto molto bello in Corso Vittorio Emanuele II che sarà anche sede organizzativa del gruppo e luogo d’incontro.

In Africa Emergency si è impegnata come sempre nella costruzione di ospedali e nella gestione della cura dei pazienti. Ma ha anche lavorato molto per l’avvio e la realizzazione di un progetto ambizioso: la costruzione di una Rete sanitaria d’eccellenza in Africa. È stata di stimolo alla cooperazione di diversi stati africani per un comune obiettivo: quello della salute della loro popolazione. Vuole parlarci di questo lavoro di coordinamento?

Il Centro Salam è il fulcro del Programma di pediatria e cardiochirurgia che Emergency sta realizzando in Africa. Presso il Centro Salam sono stati operati pazienti provenienti da 22 paesi diversi: Sudan, Repubblica Centrafricana, Repubblica democratica del Congo, Eritrea, Etiopia, Kenia, Ruanda, Sierra Leone, Tanzania, Uganda, Zambia, Nigeria, Iraq, Ciad, Giordania, Somalia, Burundi, Gibuti, Zimbabwe, Senegal, Burkina Faso, Italia (cittadini italiani temporaneamente residenti in Sudan).
Uno degli obiettivi del progetto è favorire i rapporti dei paesi coinvolti attraverso la reciproca collaborazione in campo sanitario in una regione segnata da decenni di conflitti. Anche per questa ragione, il Centro di cardiochirurgia si chiama Salam, “pace”.

Il Centro Salam di cardiochirurgia è collegato a una rete di Centri pediatrici dislocati nell’area, dove lo staff di Emergency provvede anche allo screening dei pazienti da operare a Khartoum e al successivo trattamento post operatorio. 
Nel marzo 2009 è stato inaugurato il primo Centro pediatrico a Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana. Il secondo Centro pediatrico della Rete regionale di pediatria e cardiochirurgia è stato aperto a Nyala, in Sudan, lo scorso luglio 2010. Altri Centri sono previsti a Port Sudan, in Sudan, e a Goma, in Repubblica Democratica del Congo.

Emergency è promotrice della Rete sanitaria d’eccellenza in Africa (ANME), nata per stimolare la costruzione di centri medici di eccellenza in Africa.
I cardini di questo modello sono l’eccellenza della cura e la gratuità. 
L’eccellenza garantisce alti standard clinici dei singoli interventi, la formazione di personale sanitario qualificato, lo sviluppo della ricerca e ricadute positive sullo sviluppo dei sistemi sanitari locali. 
La gratuità è il prerequisito essenziale affinché tutti possano accedere tempestivamente alle cure di cui hanno bisogno.

I risultati si vedono anche alcuni esempi di un nuovo modo di pensare la sanità e la pace in Africa: in Sudan il governo ha deciso di offrire i servizi sanitari gratuiti ai bambini fino a 14 anni; sempre il Sudan, nell’ambito degli accordi di pace con il Ciad ha deciso di finanziare un centro d’eccellenza da costruire in Ciad.

Il 10 e l’11 febbraio 2010, Emergency e il ministero della Sanità sudanese hanno organizzato a Khartoum un incontro regionale con i ministri e le autorità sanitarie di 11 paesi africani per rafforzare la collaborazione tra i paesi che partecipano alla Rete sanitaria d’eccellenza in Africa (ANME).

“Costruire medicina in Africa. Strategia di realizzazione della Rete sanitaria d’eccellenza” è il titolo del workshop internazionale che Emergency ha tenuto a Venezia, sull’isola di San Servolo, il 13 e il 14 ottobre 2010. Sono intervenuti i ministri e le delegazioni dei ministeri della Sanità di Repubblica Centrafricana, Ciad, Repubblica democratica del Congo, Gibuti, Egitto, Eritrea, Etiopia, Ruanda, Sierra Leone, Somalia, Sudan e Uganda.

Durante l’incontro avvenuto ad Alpette nella seconda metà del mese d’agosto lei ha mostrato in carrellata le immagini di molti centri Emergency in Africa e in Asia. Vi si poteva leggere una grande cura verso l’ambiente degli ospedali e le aree circostanti; inoltre lei ci ha spiegato come la perfetta efficienza delle strutture e delle attrezzature non vengano mai meno nei vostri centri. Costituiscono un risultato da raggiungere in modo completo. Come riuscite ad arrivare a livelli tanto elevati in paesi e ambienti così difficili?

Ospedale deriva da “ospitale” e questo non a caso. Chi vive momenti terribili, con il corpo ferito o mutilato ha diritto a essere curato. E questo non vuol dire solo salvargli la vita, ma curarlo in un ambiente che sappia “accoglierlo”. Nei paesi dove operiamo la maggior parte degli ospedali pubblici sono fatiscenti, inospitali appunto. La filosofia di Emergency, e in questo Gino è quasi maniacale, vuole che si costruiscano “ospedali ospitali”, dove i pazienti (tra l’altro in maggioranza bambini) si sentano veramente curati e protetti. Ambienti belli, puliti e sempre con un bel giardino.

Un grande contributo è anche venuto da Raul Pantaleo, l’architetto che dal Salam cura tutti i progetti di Emergency. Una persona eccezionale, sia per le capacità professionali sia per l’umanità e la sensibilità nell’approccio ai Paesi in cui si va a intervenire.

Come si riesce a fare tutto ciò in paesi e ambienti così difficili? Con la consapevolezza che, anche se si va per aiutare, si va in casa loro. Si rispettano la loro storia e la loro cultura, si dialoga, si parla di pace e di salute, si coinvolge nel lavoro la popolazione locale. Tante cose che unite alla storia di Emergency aprono le porte. Ovviamente rigorosamente senza mazzette. Altrimenti non sarebbe possibile costruire un Centro come il Salam con circa 12 milioni di euro, oppure il nuovo Centro Pediatrico di Nyala con solo 800.000 euro.

C’è una piccola parte di lavoro di Emergency che può suscitare curiosità, ma forse anche qualche perplessità nei nostri lettori. È quella parte di attività che vi vede impegnati in Italia. Perché? Qualcuno potrebbe chiedersi: è forse l’Italia un paese di guerra? Eppure voi avete iniziato ad aprire nel nostro Paese dei Poliambulatori che offrono assistenza socio-sanitaria ai migranti: medicina di base, pediatria, odontoiatria, oculistica, otorinolaringoiatria, ostetricia e ginecologia, cardiologia… Il primo è stato aperto a Palermo. Emergency ritiene vi sia la necessità di affiancare il sistema sanitario nazionale? Oppure vi sono bisogni che il nostro sistema pubblico non è in grado di soddisfare?

Il primo a Palermo e il secondo a Marghera. Fanno parte del Programma Italia, che meriterebbe un approfondimento a parte. In Italia spendiamo più di 24 miliardi di Euro l’anno (l’equivalente di una finanziaria lacrime e sangue) in armamenti. Mentre sulla sanità, sulla scuola e sulla ricerca si continua a tagliare lasciando le briciole. Forse così non è fare la guerra, oltre che in giro per il mondo, anche ai propri cittadini? Compriamo decine di caccia-bombardieri F35 con un costo di 15 miliardi di euro, per farne cosa? Distruggere invece che costruire scuole e ospedali. In nome della “libertà”, la classe politica italiana ha scelto la guerra contro i propri cittadini costruendo un sistema di privilegi, basato sull’esclusione e sulla discriminazione, un sistema di arrogante prevaricazione, di ordinaria corruzione.

In nome della “sicurezza”, la classe politica italiana ha scelto la guerra contro chi è venuto in Italia per sopravvivere, incitando all’odio e al razzismo. Da sempre Emergency è la voce dei deboli e delle vittime nei Paesi in cui opera. Ci siamo chiesti: siamo italiani, possiamo stare a guardare quello che succede in Italia? Da queste considerazioni nasce anche il Manifesto del mondo che vogliamo, lanciato a Firenze nell’incontro nazionale dell’anno scorso.

Ancora una domanda sull’Italia. È vero che avete proposto alla Regione Piemonte la costruzione di un Poliambulatorio a Torino, ma avete ricevuto un rifiuto? Il progetto prevedeva dei costi per gli enti pubblici?

Questo è un caso emblematico. Il Comune di Torino ci ha concesso in uso dei locali in Via Giachino. Noi abbiamo fatto il progetto e stanziato i fondi (circa 500.000 euro) necessari per la ristrutturazione, l’allestimento e la gestione del Poliambulatorio, dove il personale medico sarebbe stato volontario, come a Palermo e Marghera, lavorando gratis. Avremmo dovuto avere l’ok dell’Asl per il ricettario, ma ci è stato detto che a Torino Emergency non serve, sarebbe stata un doppione. Così abbiamo dovuto cancellare il progetto.

Peccato, sarebbe stato un poliambulatorio destinato ai più poveri e ai migranti, capace di offrire prestazioni in particolare a quella zona grigia di persone, come immigrati non regolari, che spesso hanno grandi difficoltà ad accedere alle cura sanitarie. Stranieri extracomunitari, magari incapaci di comprendere l’italiano, per i quali le intricate operazioni burocratiche necessarie anche per fare un semplice esame del sangue rischiano di essere scogli insormontabili. Chiedevamo lo stesso riconoscimento previsto al Sermig e al Cottolengo, mentre la Regione comunque ha tagliato anche gli investimenti nei centri Isi.

Quali sono gli eventi – incontri pubblici, conferenze – previste per il prossimo futuro nella provincia di Torino?

La situazione per noi è sempre in continua evoluzione e molte volte gli eventi ci “piovono” addosso. Dopo una breve pausa estiva e dopo l’incontro nazionale di Firenze metteremo mano al calendario delle iniziative per l’autunno-inverno e per il 2012. Informazioni aggiornate in tempo reale si possono trovare sul sito www.emergencypiemonte.it alla voce iniziative. Lì si troverà sempre modo di incontrare e sostenere Emergency.

Intervista a Ivana Mighetto

Insegnante e Volontaria di Emergency

 

Lei lavora in campo educativo, come insegnante opera in una ludoteca di Torino, ed è anche una volontaria di Emergency, collegata al Gruppo territoriale di Torino. È vero che è riuscita a coinvolgere anche i bambini con cui lavora nell’opera di volontariato in favore di Emergency? Come li ha coinvolti? Che cosa avete fatto insieme? Come vi siete resi utili per Emergency? Vuole raccontarci l’interessante esperienza che lei ha condotto?

Sono insegnante elementare distaccata sulla ludoteca Serendipity che si trova in corso Orbassano 264 a Torino. La ludoteca Serendipity è uno dei Centri di Cultura che Comune di Torino e I.T.E.R. (Istituzione Torinese per una Educazione Responsabile) mettono a disposizione delle scuole e della libera utenza, ovvero bambini e ragazzi in età compresa fra zero e quattordici anni, non c’è limite di età per soggetti svantaggiati. I bambini possono stare in ludoteca da soli (dai sei anni in su) o accompagnati da un adulto, se più piccoli.

Le attività legate ad Emergency sono state di diverso genere, quella di cui ho accennato ad Alpette riguarda un percorso intitolato “Dai bambini di Serendipity per i bambini del Sudan”, vi hanno partecipato alcune classi di scuola primaria e secondaria di primo grado di Torino e di Ferriera e Buttigliera Alta, in Val di Susa, nonché una classe dell’Istituto Tecnico Santorre di Santarosa di Torino. Si è incominciato con incontri presso le scuole con volontari di Emergency che, oltre a descrivere gli obiettivi dell’associazione, hanno cercato di sensibilizzare i bambini su Pace e Diritti. Nel laboratorio della ludoteca e/o nelle scuole, i ragazzini hanno realizzato oggetti di diverso genere che sono stati venduti alla fine dell’anno scolastico, molti genitori e nonni hanno collaborato con i bambini nella realizzazione di manufatti. Con questo progetto abbiamo raccolto più di 2000 euro.

Ho avuto occasione di conoscere la sua iniziativa con i bambini, con finalità doppiamente educativa, in occasione dell’incontro di Emergency ad Alpette: personalmente sono stata molto colpita dal suo racconto. Dunque: lei, i genitori, i bambini siete riusciti a raccogliere una sommetta niente male, destinata ad Emergency (340 euro se non mi sbaglio); avete spedito il vostro contributo e avete specificato a cosa doveva servire, è così?

Anche gli utenti pomeridiani della ludoteca sono, oramai da alcuni anni, “amici di Emergency”, e hanno collaborato con diverse iniziative a raccogliere fondi. Quella raccontata ad Alpette è stata la prima di una serie di iniziative: anche in ludoteca avevamo costruito oggettini di diverso genere, prevalentemente con materiale di recupero, oggetti che sono stati venduti in occasione della consueta “Festa delle buone vacanze”. In questa occasione sono stati raccolti i primo euro, circa 340 appunto, che sono stati inviati a Emergency con la motivazione che fossero destinati all’allestimento della Sala giochi, prevista al Centro Salam, in costruzione. Vale a dire: i bambini di una ludoteca si sono impegnati per raccogliere fondi affinché altri bambini lontani disponessero, come loro, di uno spazio dedicato al gioco, anche se in un contesto assai diverso.

Dopo un certo tempo però è successo qualcosa di strano, e lei ha ricevuto una telefonata, nella quale un reponsabile di Emergency le faceva una richiesta… continui lei…

Sì, è così. A settembre mi contattarono dalla Sede di Milano per chiedere l’autorizzazione a “dirottare” quegli euro su un progetto più urgente: la costruzione di un pozzo nell’ospedale del campo profughi di Maio, in Darfur. Il pozzo sarebbe servito, oltre che a fornire l’acqua indispensabile per tutte le funzioni dell’ospedale, anche a consentire la crescita di erba in un pezzo di prato che si stava “inventando”, in mezzo alla sabbia e alla polvere del campo. Il prato avrebbe avuto proprio lo scopo di consentire, soprattutto ai bambini, di avere uno spazio di serenità in quell’inferno che è un campo profughi, magari per giocarci a pallone.

Ovviamente la mia risposta è stata di assoluta disponibilità: in fondo sempre di “diritto al gioco” si trattava, ho detto che noi avevamo raccolto e inviato i soldi, che li destinassero pure ai progetti più urgenti.

La risposta è stata che “quando dei fondi sono destinati ad un progetto, prima di cambiare la destinazione, Emergency, se ha modo di contattare il donatore, lo informa e chiede di essere autorizzato alla variazione”.

Già non avevo dubbi sulla serietà di Emergency, ma questo contatto mi rese ancora più consapevole che scegliendo Emergency come Associazione cui dedicare qualche briciola del mio tempo, avevo fatto proprio la scelta giusta!

Come è continuata la sua collaborazione volontaria? Ci sono stati altri progetti educativi con i bambini? Ci saranno in futuro?

In ludoteca ogni anno facciamo il “Calendario per Emergency” e al progetto “Dai bambini di Serendipity per i bambini del Sudan” ha fatto seguito il percorso “Diritto al gioco in tempo di guerra” che ha lo scopo di verificare se l’articolo 31 della Convenzione Internazionale per i Diritti dell’infanzia viene rispettato. Anche in questa occasione abbiamo portato nelle scuole la testimonianza di una infermiera di Emergency che ha visto e raccontato come trascorrono le giornate i bambini che vivono dove c’è la guerra, abbiamo ascoltato il racconto di chi fu bambino ebreo durante le leggi razziali oltre a tanti racconti di nonni e conoscenti dei bambini e ragazzi che hanno partecipato al progetto.

Credo che continuerò a far parte del “Gruppo scuola” di Emergency e a dare la disponibilità per mercatini vari. In ludoteca continuerò a proporre iniziative a bambini e genitori. Per questo devo ringraziare il Comune di Torino che ha consentito di far entrare il sostegno ad Emergency fra le iniziative programmate. Non è stato né facile né immediato, ma ce l’ho fatta. Se avrà occasione di venire a Torino, magari a trovarmi in ludoteca, potrò mostrarle una piccola pubblicazione che abbiamo realizzato con i ragazzi. L’invito è aperto ai lettori di Oltre.

 

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